Le celebrazioni che si stanno svolgendo in tutte le Diocesi italiane per “La Custodia del Creato” hanno risvegliato alcuni ricordi che risalgono alla fine degli anni 60’, in piena contestazione studentesca.

Grazie al periodico mensile universitario “Universitary Club”, che avevamo messo in piedi tra mille difficoltà, facevo il collaboratore saltuario e volontario all’Agenzia Giornalistica Montecitorio, in piazza San Claudio a Roma.

Inizialmente il mio contributo si limitava ad andare a rappresentare l’Agenzia alle conferenze stampa, istituzionali e non, che allora erano il solo sistema per diffondere i contenuti delle iniziative avviate o dei provvedimenti adottati.

Le conferenze che rientravano nel settore definito “cronaca bianca” erano le mie.

Grazie a questo incarico venivo invitato, anche, alle conferenze stampa che il Club di Roma organizzava in dei locali prossimi al Foro Traiano.

Come giovane impegnato nei movimenti politici, sociali, compresa la goliardia, poter avere dei contatti con un luogo come il Club di Roma era una grande soddisfazione, perché permetteva, anche se con forme indirette, di confrontarsi con la memoria storica delle generazioni precedenti riguardo al cambiamento della società in cui eravamo “immersi”.

Nella università e nella società civile in generale si viveva una euforia collegata ad una cultura dello sviluppo lineare infinito, che si faceva strada anche tra la le classi meno abbienti. Tutti convinti che la crescita ed il benessere potessero durare per sempre.

Durante le conferenze stampa del Club di Roma, Aurelio Peccei ci diceva che questa crescita era solo momentanea e che sarebbe durata alcune decine di anni, parlava di un limite invalicabile dello sviluppo economico a causa delle risorse esauribili, presenti in quantità fissa in natura.

“Un eccessivo tasso di crescita demografico porterà a scontrarsi con il limite delle risorse naturali, disponibili in quantità finite in natura e non incrementabili”.

Una volta raggiunto quel limite si sarebbe entrati in uno scenario malthusiano, “la produzione cessa di crescere o si riduce, e la crescita demografica rallenta perché le risorse naturali non sono più sufficienti a soddisfare i bisogni di tutti”.

Aurelio Peccei ci illustrava dei grafici dove sulle ascisse veniva riportato il periodo storico, che iniziava con il ventesimo secolo e terminava con la fine del ventunesimo secolo, e sulle ordinate venivano presi in considerazione gli andamenti delle risorse naturali, delle risorse alimentari, della popolazione mondiale, della produzione industriale e dell’inquinamento.

Facendo riferimento al grafico:

  • Risorse naturali, il loro utilizzo aveva un andamento che poteva essere definito normale fino ai due terzi del ventesimo secolo, poi inizia un uso smodato delle risorse fino a circa la metà del ventunesimo secolo, che fa crollare le riserve mondiali, per poi assumere un andamento costante fino a fine secolo.
  • Popolazione mondiale, l’impennata della crescita ha inizio con la fine della seconda guerra mondiale e continua fino alla prima metà del ventunesimo secolo, per poi continuare a scendere e ritornare alla fine del ventunesimo secolo ai livelli della fine della seconda guerra mondiale.
  • Risorse alimentari, l’aumento del loro consumo ha inizio con la fine della seconda guerra mondiale e cresce fino alla prima metà del ventunesimo secolo, per diminuire sensibilmente fino alla metà del ventunesimo secolo, per poi assumere un andamento quasi costante fino a fine secolo.
  • Produzione industriale, in costante aumento dall’inizio del secolo ventesimo fino alla prima metà del secolo ventunesimo, per poi crollare fino alla metà del secolo, per poi stabilizzarsi fino alla fine secolo:
  • Inquinamento, inizia intorno alla metà del ventesimo secolo e cresce fino alla metà del ventunesimo secolo per stabilizzarsi per qualche decennio per poi cominciare a diminuire.

Per noi studenti delle facoltà tecniche la illustrazione che Aurelio Peccei portava aventi era logica e conseguenziale, la difficoltà che trovavamo era quella di immaginare come la popolazione mondiale si potesse ridurre fino a uno stato stazionario dove tutti vivono in uno stato di povertà ai margini della sussistenza.

Oggi a distanza di cinquanta anni non mi sento più padrone del mio destino ma prigioniero di uno sviluppo tecnologico troppo rapido.

Corrado Tocci

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