A cura di Antonino Galloni e Carlo Ranucci
(Associazione Convergenza Cristiana 3.0)

Era inevitabile che accadesse. Proseguendo con la irresponsabile politica dell’economia alimentata dal debito – dal quale inevitabilmente derivano ristrettezze e incremento della povertà – oggetto di precedente critica, e con la continua emissione di moneta, sempre a debito, si è giunti alla stretta finanziaria. Inflazione, aumento dei prezzi, erosione dei redditi con il conseguente ulteriore incremento delle difficoltà a carico dei ceti medio bassi. I nodi vengono prima o poi al pettine.

Si sta cercando di tamponare le falle che si aprono qua e là sempre con i debiti che ci piovono dal cielo dei mercati finanziari – speculativi e oligarchi – pieno di nubi nere e minacciose. Il problema purtroppo ha dimensioni ben più ampie e necessita, per una sua soluzione, di una totale revisione dell’attuale sistema di sviluppo.

I cambiamenti politici derivanti dagli esiti del voto del 25 settembre, pur lasciando intravedere qualche timido segnale di inversione di rotta, non sembrano avere la forza di rinnovamento sufficiente per incidere sull’attuale sistema, granitico nella struttura quanto logoro nella sostanza.  Purtroppo la popolazione suo malgrado ne farà le spese, rimpiangendo di non aver adeguatamente approfondito la situazione e quindi di non aver fatto la scelta giusta.

Per una svolta decisiva, occorre agire principalmente su due fronti: sul rilancio dell’economia reale e sul contrasto al processo di finanziarizzazione speculativa. Entrambi gli aspetti dovranno essere accompagnati, ovviamente, da una rinascita del profilo etico.

L’Italia non è in grado, con un debito pubblico imponente e in costante crescita, di riuscire a pagare, tra l’altro, i costi dell’energia che importiamo dall’estero anch’essi in costante aumento.  Come noto, per comprare beni e servizi occorrono i soldi che derivano a loro volta dalla capacità di vendere utilità.

Il bene più grande ed evidente che possediamo, di indubitabile valore, è la nostra terra fertile ed i suoi prodotti, diretti e indiretti, apprezzati e consumati in ogni parte del mondo. Parte di essi, già oggi, fungono da oggetto di scambio con i prodotti esteri, ma la nostra produzione complessiva è limitata a causa dei contingentamenti imposti dagli accordi europei. Si procede con il freno a mano tirato. Ciò si traduce in un ingiustificabile e non più sopportabile vincolo, una perdita di ricchezza irragionevole, un affronto alla povertà alimentare del mondo. In aggiunta, siamo costretti ad importare d’oltreoceano prodotti geneticamente modificati per compensare le nostre carenze.

Il nostro sistema produttivo primario deve invece tornare a girare a pieno regime. Vanno incrementati gli investimenti nel settore agro alimentare per portare la produzione al massimo del suo potenziale, utilizzando le privilegiate condizioni geo climatiche che la Natura ci ha concesso. Con questa diversa impostazione, la parte del prodotto eccedentaria rispetto alle soglie imposte dalla UE, se queste non fossero rimosse, verrà resa disponibile per la vendita ai restanti Paesi che ne faranno richiesta. In tal modo l’Italia si trasformerà in una immensa e fiorente distesa di coltivazioni sulla quale potrà essere impiegata fruttuosamente quella parte di popolazione che ora risulta inattiva o inoccupata ovvero oggetto di accidiose misure assistenziali. Diventerà un immenso silo – di prodotti naturali e non geneticamente modificati – per soddisfare le necessità agroalimentari mondiali.

Tale liberalizzante impostazione, dovrà interessare anche il settore industriale e manifatturiero, con gli opportuni adattamenti per tener conto dell’evidente carenza di risorse energetiche nazionali, elemento fondamentale del sistema produttivo. In tale campo, peraltro, notevoli benefici potranno essere conseguiti, in autonomia, con un ricorso più ampio alla risorsa solare che rappresenta anch’essa un ingente patrimonio naturale del nostro Paese.

Dall’approccio graduale sin qui adottato si dovrà passare a una fase di forte spinta, quella che da decenni la nostra migliore intelligenza predicava (Nobel Rubbia) ma che è rimasta inascoltata per contrari interessi geopolitici. Il massimo sfruttamento dell’energia solare, insieme alle altre fonti eolica, idroelettrica, geotermica che possediamo naturalmente ci potranno consentire di affrancarci in buona misura dal vincolo estero e, grazie alla laboriosità e all’ingegno che ci sono propri, di ricostruire la nostra fiorente industria degli anni 60 che ci è stata scippata in questi ultimi decenni.

In tale logica, considerato la fase storica caratterizzata da importanti cambiamenti climatici, potrebbe rivelarsi di grande utilità anche la progettazione di impianti di desalinizzazione, operazione congeniale ad un Paese circondato da acque marine. In tal modo si potrà ovviare alla scarsità di acqua nei periodi di grande siccità, venendo in soccorso alle esigenze delle produzioni agricole e industriali che necessitano in abbondanza di tale fattore senza così intaccare le quote idriche destinate ai bisogni civili.

Ma le nuove proposte nell’economia reale potranno non conseguire adeguato successo se non accompagnate da cambiamenti anche nell’ambito del capitale, l’altro indispensabile fattore del sistema produttivo.

Questo elemento ha svolto egregiamente la sua funzione di motore del sistema economico sino a quando si è trasformato in strumento di arricchimento fine a sé stesso, per cause etiche e sociali. Una cultura edonistica seguita da uno sfrenato desiderio di arricchimento individuale, impadronitisi rapidamente e prepotentemente del mondo occidentale; politiche di grande permissivismo finanziario adottate dalle autorità politiche e delle istituzioni pubbliche nazionali e internazionali, consenzienti se non colluse, che hanno facilitato il diffondersi e il consolidamento dei primi.

Si ricordano in proposito le accomodanti politiche sul piano fiscale e commerciale volte a sostenere la creazione di immensi poli oligarchici su scala mondiale a scapito delle realtà produttive di minori dimensioni e dei lavoratori individuali domestici. Tali forme di abusi hanno portato ad una distorsione dei criteri di sana economia e vita sociale, avviando e alimentando un processo di accelerazione tecnocratica guidato da pochi, non sopportabile dalle capacità sia dell’Uomo che della natura. Il tessuto sociale si è lacerato in maniera difficilmente reversibile, penalizzando ed emarginando ulteriormente le fasce più deboli e indifese.

Il capitale deve quindi riappropriarsi del suo ruolo originario, di grande valore morale e sociale, e va arrestata la sua pericolosa e perniciosa deriva. L’adozione di adeguati accorgimenti nell’ambito del sistema finanziario potranno rimettere ordine in un quadro totalmente scomposto, divenuto fonte di sperequazione e ingiustizia. La reintroduzione della distinzione tra banche commerciali volte al finanziamento dell’economia reale e banche d’investimento dedite all’incremento dei profitti. L’abolizione o la forte limitazione dell’uso di strumenti di azzardo quali le cartolarizzazioni, i derivati, le compravendite allo scoperto (la cui pericolosità viene richiamata dalla DSC n. 369).

La sovranità monetaria dovrà essenzialmente tornare nelle mani delle pubbliche istituzioni, rilevandola dal potere di cui il sistema bancario si è surrettiziamente appropriato: è necessario al riguardo prevedere un generale incremento dei coefficienti di riserva obbligatoria per limitarne lo spazio di manovra. L’introduzione di una moneta non a debito appare una soluzione appropriata per liberare risorse produttive attualmente ingabbiate dai vincoli di un bilancio divenuto insostenibile.

Il canale finanziario è importante anche e soprattutto per sostenere il livello di vita individuale e collettivo, nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà, fondanti la nostra società. A tal fine, quindi, dovrà essere opportunamente riorientato a favore della popolazione, prevedendo ipotesi di finanziamenti pubblici senza interessi, incentivando la creazione e la diffusione di banche di ridotte dimensioni per sostenere la capacità lavorativa di comunità intermedie e di realtà cooperative e corporative (alla stregua delle storiche “gilde”, di grande successo).

Importanti benefici sul piano sia economico che, di conseguenza, sociale sono attesi da una diversa modalità di gestione aziendale che si ritiene necessario adottare, incentivare e premiare. Un rapporto di stretta collaborazione tra datori e lavoratori nella direzione di unità produttive, infatti, non può che realizzare una proficua assunzione di reciproca responsabilità volta ad assicurare un funzionale e duraturo percorso aziendale, nell’interesse dei singoli interessati e indirettamente della comunità esterna (distributismo).

Andrà favorito il lavoro cooperativo che consente alla persona di partecipare alla costruzione del progresso civile, alla luce delle già avviate e positive esperienze delle comunità energetiche, efficace modello di lavoro sinergico.

Solo con cambiamenti di tale portata, peraltro sommariamente delineati, nei campi dell’economia e della finanza, architravi del vivere civile, si potrà tentare di avviare un’operazione di ribaltamento dell’attuale sistema che opprime, talvolta inconsapevolmente, la persona e le comunità, relegandole a ruoli di mera sudditanza di potenti oligarchie globali. Identità, autonomia di azione e di pensiero sono diritti insopprimibili della persona e vanno garantiti perché indispensabili al conseguimento del bene comune che rappresenta il fine ultimo dell’essere umano.

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