In base ad una lettura superficiale delle prospettive economico-tecnolgiche e ambientali, le componenti culturali e politiche oggi prevalenti, sono giunte alla conclusione che gli umani presenti sul pianeta siano troppi, inutili e dannosi.
Tale visione – se suffragata dai fatti e dalle analisi scientifiche – spingerebbe al superamento dell’impianto teologico proprio dell’Antico e del nuovo Testamento nonché dell’opera morale che ha caratterizzato quasi due millenni di magistero della Chiesa.

L’inutilità degli umani sarebbe insita nelle conseguenze dell’attuale evoluzione economica e tecnologica: l’intelligenza artificiale, la robotizzazione e gli altri fenomeni di meccanizzazione, l’industria 4.0 e quant’altro porterebbero a minimizzare il numero degli addetti necessari all’approntamento di tutti i beni richiesti dalla popolazione.

Quest’analisi è veritiera per quanto attiene alla produzione di beni materiali, ma non risulta altrettanto condivisibile per quanto attiene a quella dei beni immateriali – in generale, i servizi di cura delle persone, dell’ambiente e del patrimonio esistente – destinati a diventare la componente di gran lunga più importante dell’intera economia.

Nel campo dei beni immateriali (servizi di cura delle persone, dell’ambiente e del patrimonio esistente; attività creative, artistiche, culturali in genere e, anche, del tempo libero) la domanda di lavoro è enorme; ma non può vedere l’attuazione di tutte le attività necessarie perché il loro costo supererebbe il loro fatturato; per questo occorre uscire dall’economia solo a debito anche introducendo moneta non a debito dello Stato che serva a raggiungere la piena occupazione delle risorse ovvero il pieno soddisfacimento delle esigenze sociali di cura in tutti i campi.

È oramai molto diffusa anche l’idea che gli umani siano dannosi per l’ambiente e per la natura. Molte teorie ambientaliste si basano su un’equazione lineare che considera proporzionale allo sviluppo lo sfruttamento delle risorse e l’immissione di sostanze cosiddette inquinanti.

In realtà, tali processi possono venir più utilmente descritti da un’equazione non lineare: man mano che la produzione cresce (e con essa l’uso delle risorse che divengono più scarse e costose) vengono introdotte tecnologie innovative che riducono la quantità di agenti inquinanti e di risorse per unità di prodotto.

Tale ben diverso meccanismo, ha visto delle interruzioni in molti campi (quelli energetico e dei trasporti, ad esempio) perché le lobbies internazionali ed il modello economico prescelto hanno impedito il pieno dispiegarsi delle forze produttive: la scelta della globalizzazione, infatti, ha premiato il produttore peggiore, quello che paga di meno gli operai, sfrutta i bambini e i carcerati, evita i costi della difesa ambientale e della tutela della salute dei lavoratori e di tutti i cittadini.

In questo la Chiesa non è intervenuta adeguatamente, limitandosi (aspetto positivo) a difendere i diritti dei poveri e dei deboli, ma senza contestare una logica che, in nome della assoluta libertà degli scambi, era causa del disastro ecologico.

È, dunque, il modello economico prescelto (con la sua scala delle priorità) a determinare la dannosità degli umani; la cui crescita demografica può e deve essere abbinata all’accoglimento di tecnologie – oggi pienamente disponibili – che consentono la riduzione di risorse e agenti inquinanti per unità di prodotto.

Infine, la verità rivelata a Davos, dal World Economico Forum, dal gruppo Bildenberg e altri, che siamo troppi sul pianeta, è falsa.
È vero esattamente il contrario: il pianeta è sottopopolato, soprattutto in molte regioni (dalla Siberia alla Groenlandia che potrebbero tornarci utili in caso di ulteriore surriscaldamento della Terra); unica eccezione sono le megalopoli da decine e decine di milioni di abitanti.

Ma queste ultime sono il portato di un modello economico sbagliato e, comunque, non più sostenibile, che, in base agli obiettivi del profitto come unico riferimento delle strategie economiche e della crescente concentrazione finanziaria, condannano il 99,98% della popolazione a prospettive di miseria per favorire quello 0,02 che detiene gran parte del potere economico, politico e dei mezzi di informazione.

Solo il pieno recupero di una visione cristiana dello sviluppo economico può scongiurare la prospettiva di una sconfitta per tutta l’umanità.

Occorre quindi riflettere sui nuovi modelli economici, una visione della moneta come strumento e non come fine, un più maturo atteggiamento nei confronti dei cambiamenti climatici.

Anche questi, infatti, richiedono una mutazione di paradigma: non più l’insensato obiettivo di fermarli (tante volte essi si sono presentati sul nostro pianeta), ma quello di collaborare – in pace e tutti uniti – per affrontarli grazie alle tecnologie di cui oggi, a differenza del passato, l’umanità dispone.

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