Pochi giorni e pochi discorsi sono stati sufficienti per cogliere con chiarezza le linee di continuità e quelle di discontinuità tra Leone XIV ed il suo predecessore.
Al di là delle citazioni d’obbligo, la continuità si è evidenziata nell’appassionato appello di Leone XIV per la pace, e poi anche nel pressante invito a favore dei poveri, dei deboli, degli ultimi e dei sofferenti. La discontinuità invece si è stagliata nitidamente sullo sfondo di una Chiesa costruita e vissuta sulla centralità verticale del Cristo e per questo radicalmente missionaria e profondamente Mariana.
Una Chiesa impegnata a costruire ponti ed ad intessere dialoghi, certamente, ma seguendo la stella polare di tre parole chiave additate al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: pace, giustizia, verità. Parole altamente incisive che interpellano in modo immediato ed ineludibile soprattutto quei cattolici che siano impegnati in politica costituendo una vera e propria sfida. I motivi sono plurimi.
La prima parola chiave, ‘pace’, rimanda ad uno scenario caratterizzato da problemi complessi e da contraddizioni apparentemente insolubili. Rimanendo al solo quadro europeo, nessun responsabile deputato alla concreta costruzione del bene comune, potrebbe in coscienza esimersi dall’impegnarsi per una difesa comune europea solida, stabile e credibile. Il dialogo e l’iniziativa diplomatica inesausta e tenace sono fondamentali e moralmente legittimanti per ogni successiva iniziativa politica. Ma di fronte alla guerra che sta lacerando l’Europa e che ha il suo fronte militare in Ukraina, è inevitabile prendere atto che la diplomazia ed il dialogo sono purtroppo insufficienti. La pace europea può essere garantita solo da una reale, forte e convincente capacità di deterrenza e non da desideri velleitari ed utopici. Del resto anche la fede non è utopia perché nulla è più razionale e reale dell’atto di fede.
Il paradosso e la contraddizione apparente sta nel fatto che la difesa comune si prospetta come strumento decisivo per la edificazione una nuova unità europea la quale però può essere raggiunta realmente solo rendendo manifesti e ben percepibili i grandi ideali seminati e poi germogliati nell’ humus fertile della universalità della Chiesa cattolica e del suo messaggio di verità e di pace. Difesa comune e ritorno alle radici cristiane per edificare ed unire l’Europa. Questa la apparente contraddizione da risolvere.
Ma le cose non stanno così. L’obbiettivo di una Europa unita e federale passa per la valorizzazione dei corpi intermedi e per un sano e libero pluralismo, come appunto chiede e propone la Dottrina Sociale della Chiesa, e dunque anche e soprattutto per il rispetto del diritto internazionale e delle identità delle singole nazioni. Ecco che pace, capacità di difesa e bene comune convergono e si interconnettono tra loro.
Anche la seconda parola chiave, ‘giustizia’, pone il politico cattolico dinnanzi ad una rottura apparentemente impossibile da ricomporre. La giustizia declina naturalmente verso l’equa redistribuzione delle ricchezze prodotte dal lavoro e dalla capacità di intrapresa dell’uomo. Oggi però esiste una finanza strutturata che genera profitto finanziario, conseguito in danno del lavoro e dell’economia reale e finalizzato unicamente ad ulteriore profitto finanziario Anche per questo i processi di globalizzazione vengono governati in larga misura da gruppi economici ristretti e molto lontani dal rispetto della dignità della persona umana e dunque da qualsiasi riferimento etico distinto e scevro dall’etica del profitto. E’ il fenomeno del capitalismo tecnocratico e super tecnologizzato che finisce a prendere il posto dei poteri eletti democraticamente portando con sé un visione del mondo illiberale, antidemocratica ed impregnata di cultura woke ed antiumana.
Per i cattolici invece la giustizia coincide con una visione dei rapporti sociale ed economici nella quale il lavoro è essenziale mezzo per la realizzazione della dignità della persona, la capacità di intrapresa è fondamentale strumento di libertà ed il mercato è per definizione luogo pacifico e fertile di scambio di beni, servizi ed opportunità economiche, scientifiche e tecniche. E tutto questo come premessa necessaria alla giusta distribuzione dei beni. Come conciliare queste antinomie? E’ necessario tornare alle parole di Leone XIV al corpo diplomatico perché la libertà e la sua intransigente difesa come mezzo e strumento insostituibile di costruzione della giustizia, rinviano naturalmente alla terza parola chiave indicata da Leone XIV : ‘verità’. La verità è inscindibilmente legata alla pace quale frutto della giustizia.
Ecco che tutto si lega e tutto si tiene nel lucido magistero del nuovo Papa, che voglio fermare ancora una volta nelle parole chiave rivolte al corpo diplomatico: “La verità non è l’affermazione di principi astratti e disincarnati, ma l’incontro con la persona stessa di Cristo che vive nella Comunità dei Credenti.” Il punto sta tutto quì.
La società contemporanea ha voltato le spalle a Dio, verità ultima e sommo bene. Ed è per questo che ha perso di senso allontanandosi dai riferimenti fondamentali che invece il politico cattolico deve reintrodurre e poi difendere.
Queste brevi riflessioni sulle tre parole chiave, o meglio detto sui tre veri e propri mandati affidati al laicato cattolico da Leone XIV, aprono il confronto sul nuovo che avanza e che attende un punto di ricaduta politico, culturale e sociale unificante ed unitario. Sono tra quelli che già molto tempo fa aveva intravisto in un nuovo “partito cattolico” questo punto di ricaduta.
Purtroppo il termine, “qua talis” ha generato confusione perché ha evocato un passato definitivamente sepolto: quello dei conflitti tra Stato e Chiesa. E Bergoglio non ha certo aiutato a superare l’empasse. Con l’avvento al soglio di Pietro di Leone XIV sono però giunti i tempi perché l’ideale di un partito fortemente identitario in senso cattolico trovi giusta collocazione concettuale e corretta prospezione vuoi storica e vuoi politica. Inevitabile nel percorso ardito che ci si prospetta tornare all’insegnamento di Aldo Moro: “scomporre per poi ricomporre”. Con Leone XIV il vento ha iniziato a soffiare nella direzione della ricomposizione, dopo cinquant’anni nei quali il cattolicesimo sociale e politico ha subito un processo di scomposizione mortale ed irreversibile. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.
E non mi riferisco solo ai gruppi e gruppetti che vanamente si agitano nella loro inconsistenza. Mi riferisco soprattutto alla evidente destrutturazione del tessuto civile ed economico di un continente intero, l’Europa appunto, causato dai cinquanta anni di eclissi politica del cattolicesimo sociale e politico, e dalla destrutturazione di quanto di buono da esso fatto ed operato.
Annunciando un prossima enciclica sull’intelligenza artificiale Leone XIV ha piantato il primo chiodo sulla difficile strada ferrata della ricomposizione, alla quale il politico cattolico, in Italia, in Europa ma a questo punto in tutto il villaggio globale, non può non agganciare il moschettone della sua corda di sicurezza, pena la caduta nel vuoto e la impossibilità a proseguire nella ardita salita.
Certo la vetta della compiuta ricomposizione non può essere raggiunta attingendo a categorie politiche, linguaggi e modelli ormai irrimediabilmente superati ed inidonei a rappresentare il nuovo che avanza.
Quì sta lo strabismo e la dislessia del sistema politico contemporaneo. Dopo la caduta del muro, l’affermarsi progressivo della ‘cancel culture’ e del ‘wokismo, ma anche dopo lo scoppio di due guerre tra chi difende la libertà ed il diritto alla propria indipendenza e chi opera instancabilmente in senso esattamente opposto, le categorie definitorie di destra e sinistra hanno perso i connotati del loro significato originario. Lo stesso è da dirsi naturalmente per la categoria politica di ‘centro’ e – purtroppo – con essa quella di centro cattolico. Il politico cattolico deve piuttosto riferirsi ai valori che invece non mutano e dunque a quelle categorie definitorie che sappia identificare con chiarezza i contorni di un polo politico cattolico e liberale da costruire in Italia ed in Europa. Un polo forte e capace di irradiarsi per tutto il mondo, dove le parole cattolico e liberale assumono un valore nuovo ed innovativo totalmente diverso da quello avuto nel passato. Parole il cui contenuto semantico si deve modellare ex novo in parallelo al contenuto del nuovo progetto politico che si va a realizzare.
I valori costitutivi sui quali edificare questo polo cattolico e liberale ed attorno ai quali ricomporre la società politica italiana ed Europea sono precisamente due: la tutela intransigente, ma costruttiva e positiva, dei valori non negoziabili e la difesa intransigente della libertà in tutte le sue forme. Il coerente allineamento alle verità centrate su Cristo e perciò sull’insegnamento della Chiesa, rende invalicabile all’agire politico del cattolico l’orizzonte dei valori e dei principi fondati su quelle verità. Quelli cioè impressi indelebilmente dal Dio della creazione, verità ultima e suprema, nella decisione irrevocabile di fare l’uomo sin dal primo momento dell’atto creativo a sua immagine e somiglianza
Operazione politica difficile da realizzare perché in controtendenza ma che può risolversi vittoriosamente se si tengono i piedi ben piantati nel passato e lo sguardo proteso verso l’orizzonte infinito del possibile politico che si fa realtà per mezzo della profezia della Chiesa e del suo laicato. Per oggi mi limito a suggerire a tutti i politici che vogliano ispirare la propria azione ai valori del Vangelo seguendo Leone XIV di riflettere e meditare su quanto Matteo suggerisce al capitolo 13 del suo Vangelo.
Copiandolo pedissequamente dirò allora che il politico di oggi deve essere come lo scriba saggio di ieri: “Allora disse loro: ’Per questo, ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale trae fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie”. (Mt. 13 vs. 51-52). Per quanti avessero una certa osticità a questo tipo di riferimenti dirò allora che il politico di oggi non deve essere come le tre sorelle, Ol’ga, Maša e Irina. L’appello un pò grillino e un po’ contiano al cambiamento quasi esistesse una società civile pronta ed in attesa solo dei nostri banchetti nelle piazze per costruire non si sa bene cosa, non ha alcun fondamento.
E’ piuttosto un qualcosa non è molto dissimile dall’appello ripetuto ossessivamente nel dramma di Anton Cechov dalle tre frustrate sorelle “a Mosca, a Mosca…”. Grido strozzato di speranza e desiderio effimero di potersi trasferire nella capitale, Mosca appunto, per liberarsi dalla vita provinciale e trovare una nuova felicità. Come dire cioè che uscendo dalla Nato e rinunciando alla difesa comune europea o rimettendosi al ‘buon selvaggio’ che alberga nella società civile vagheggiata da Rosseau e dal suo eroe, si possa raggiungere la pace e una nuova felicità.
Occorre una ultima precisazione previa. Nessuna ricomposizione è possibile facendo finta di non vedere che la perdita di senso che delle società occidentali che hanno voltato le spalle a Dio hanno generato un disagio ed un senso di diffusa paura che ha finito per creare una irrefrenabile spinta verso i partiti moderati e conservatori.
Un conservatorismo che per difendersi si fa aggressore. Il nuovo polo cattolico che si deve costruire è liberale perché ha nei suoi scopi fondanti e costitutivi quello di impedire una svolte radicali di tipo autoritario ed illiberale contaminato da poteri autoritari ed antidemocratici impregnati di culture woke ed antiumane che al contrari vanno va combattute e vinte. Ma anche un polo cattolico che all’opposto abbia nel suo DNA gli anticorpi che sappiano vincere quel relativismo di un certo modernismo politico sappia declinare e coniugare i valori nel negoziabili con il linguaggio ed i mezzi irrinunciabili della libertà con la libera e convinta adesione agli strumenti democratici. Questa la sfida di questa generazione e forse della prossima.