La carità: dal privato all’universale

Per secoli la “ carità” è stata intesa come una questione privata, propria della sfera del singolo e sviluppata in relazione alla sua particolare sensibilità ed intima adesione ad un aspetto fondamentale del messaggio cristiano. Quello richiamato dall’Evangelista Marco con la famosa frase di Gesù: “Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. E il secondo è questo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più importante di questo » (Mc 12,29-31)

Poi, con le trasformazioni del mondo moderno, sono arrivate ad articolarsi ciò che oggi chiamiamo la Dottrina sociale della Chiesa e una nuova dimensione della “ carità”.

Una nuova dimensione  entrata prepotentemente nell’orizzonte di tutti i papi succedutisi dopo il 1891, anno in cui vide la luce la Rerum Novarum di Leone XIII (http://www.convergenzacristiana.it/rerum-novarum-2/ ) e che secondo Papa Giovanni Paolo II è giunta ad una definizione  moderna, completa e precisa, una vera e propria  «direttrice di azione», con la Populorum Progressio del predecessore Paolo VI (II – Novità dell’enciclica  Populorum Progressio ( Giovanni Paolo II http://www.convergenzacristiana.it/sollicitudo-rei-socialis ).

La “ carità” intesa nella sua ampiezza sociale ha finito per permeare l’azione pastorale della Chiesa e divenire il punto di riferimento di quanti trovano nel messaggio evangelico e nella partecipazione alla comunità religiosa un ulteriore motivo d’impegno pubblico, andando oltre, senza per questo rinunciarvi, una dimensione meramente intimistica dell’aderire e vivere il proprio credo religioso.

La Chiesa è stata di fatto costretta, via via, ad affrontare questa particolare dimensione dell’amore per il prossimo. Forzata dal dispiegarsi e dall’evolvere dei nuovi processi d’internazionalizzazione, dalle interdipendenze sempre più strette tra i continenti e le loro economie, dall’apparire di crescenti fenomeni di migrazione, dall’anelito ad ottenere il riconoscimento del diritto ad una vita dignitosa che animavano ed animano un novero sempre ampio di popoli e nazioni.

Segni dei tempi cui sempre di più sono legate anche le sorti della pace. Segni dei tempi provocati anche dai crescenti squilibri economici e sociali verso cui si è fatta più forte l’attenzione della Chiesa, costretta per lo spirito evangelico che la anima a vivere nei propri tempi e per l’umanità dei propri tempi.

Come dice Paolo VI nella Populorum Progressio  (http://www.convergenzacristiana.it/populorum-progressio/?et_fb=1) , la    “ carità” è diventata “ universale”.

Il Pontefice lo dice guardando ad un mondo “ malato”, per la “ lapidazione delle risorse” il  “ loro accaparramento da parte di alcuni” oltre che per la”  mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli”.

Giovanni Paolo II spiega con grande lucidità nella sua Sollecitudo Rei Socialis (V – Una lettura teologica dei problemi moderni, Giovanni Paolo II http://www.convergenzacristiana.it/sollicitudo-rei-socialis/ ) l’importanza dell’affermazione del predecessore.

“ La dottrina sociale della Chiesa- dice Papa Woytwa- oggi più di prima, ha il dovere di aprirsi a una prospettiva internazionale in linea col Concilio Vaticano Secondo e con le più recenti Encicliche”   la carità “ si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali”.

A maggior ragione dice Giovanni Paolo II, da quando la questione sociale ha assunto una “ dimensione mondiale” e non può  che “ abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell’esistenza di queste realtà. L’ignorarle significherebbe assimilarci al «ricco epulone», che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua porta Lc 16,19)”.

In questa prospettiva, così, era inevitabile il crescere dell’attenzione dei pontefici e della Chiesa cattolica, ma anche di altre chiese cristiane, ai problemi dei migranti divenuti con il passare dei decenni un fenomeno dalle dimensioni soverchianti i singoli popoli e le singole nazioni.

Tutti i papi hanno ribadito, a partire da Giovanni XXIII con la sua Pacem in Terris (http://www.convergenzacristiana.it/pacem-in-terris/) ,  il Diritto di emigrazione e di immigrazione”: Ogni essere umano- dice Papa Roncalli-  ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse. Per il fatto che si è cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale”.

Del resto, aggiungerà Paolo VI successivamente nella Gaudium et spes ( http://www.convergenzacristiana.it/gaudium-er-spes/ ):  dobbiamo prendere atto delle  “  aspirazioni sempre più universali dell’umanità” tra cui c’è quella dei  paesi in via di sviluppo desiderosi di “ partecipare ai benefici della civiltà moderna non solo sul piano politico ma anche economico, e liberamente compiere la loro parte nel mondo; invece cresce ogni giorno la loro distanza e spesso la dipendenza anche economica dalle altre nazioni più ricche, che progrediscono più rapidamente. I popoli attanagliati dalla fame chiamano in causa i popoli più ricchi”.

Giovanni Paolo II con la sua Octagesima Adveniens si riferirà anche a quelli che oggi vengono chiamati, e distinti, “ migranti economici” per sostenere che, a suo avviso, “l’uomo ha il diritto di lasciare il proprio Paese d’origine per vari motivi – come anche di ritornarvi – e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese” (23. Il lavoro e il problema dell’emigrazione, Giovanni Paolo II, http://www.convergenzacristiana.it/octagesima-adveniens/).

Nel paragrafo precedente della stessa enciclica, il Papa polacco aveva scritto: «Non possiamo invocare Dio, Padre di tutti gli uomini, se rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati a immagine di Dio. La relazione dell’uomo con Dio Padre e quella dell’uomo con gli altri uomini, suoi fratelli, sono tanto connesse che la Scrittura dice: “Chi non ama, non conosce Dio” (1 Gv 4).

L’analisi dei pontefici con il sopraggiungere di nuove fasi del cammino umano si fa sempre più profonda ed articolata. Non si limita alla contemplazione dei fenomeni, va oltre ed indica possibili soluzioni con encicliche sempre accolte con il plauso generale, anche da parte dei politici più raffinati ed attenti alla dimensione globale della realtà contemporanea.

Così, è sempre presente nel messaggio della Chiesa la sollecitazione affinché si sviluppi un’autentica cooperazione internazionale, si giunga ad un “ vero ordine economico mondiale” rinunciando, come dice la Gaudium et Spes “ ai benefici esagerati, alle ambizioni nazionali, alla bramosia di dominazione politica, ai calcoli di natura militaristica e alle manovre tendenti a propagare e imporre ideologie. Vari sono i sistemi economici e sociali proposti; è desiderabile che gli esperti possano trovare in essi un fondamento comune per un sano commercio mondiale. Ciò sarà più facile se ciascuno, rinunciando ai propri pregiudizi, si dispone di buon grado a condurre un sincero dialogo (85. La cooperazione internazionale sul piano economico  http://www.convergenzacristiana.it/gaudium-er-spes  )”.

Nella Populorum Progressio, Paolo VI parla esplicitamente di un “ dovere” che riguarda i paesi “più favoriti” identificato su tre livelli : “ dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave, perché dalla sua soluzione dipende l’avvenire della civiltà mondiale (  II. Verso lo sviluppo solidale dell’umanità, 44,  Paolo VI http://www.convergenzacristiana.it/populorum-progressio/ )”.

Secondo Paolo VI il   dovere di solidarietà che vige per le persone vale anche per i popoli. “Le nazioni sviluppate- scrive il Pontefice- hanno l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo”. Bisogna mettere in pratica questo insegnamento conciliare. Se è normale che una popolazione sia la prima beneficiaria dei doni che le ha fatto la Provvidenza come dei frutti del suo lavoro, nessun popolo può, per questo, pretendere di riservare a suo esclusivo uso le ricchezze di cui dispone ( Dovere di solidarietà- 48, Paolo VI, http://www.convergenzacristiana.it/populorum-progressio/ )”.

Alla “ carità” come deve essere intesa ai giorni nostri, quale “ via maestra della dottrina sociale della Chiesa”, è dedicata da Benedetto XVI la sua Caritas in Veritate http://www.convergenzacristiana.it/caritas-in-veritate/

“ Per la Chiesa — ammaestrata dal Vangelo — la carità è tutto- secondo Papa Ratzinger- perché, come insegna san Giovanni (cfr 1 Gv 4,8.16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, « Dio è carità » (Deus caritas est): dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.

Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l’irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della « veritas in caritate » (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della « caritas in veritate ».

Benedetto XVI aggiunge: “ Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività.

A questa dinamica di carità ricevuta e donata- aggiunge Benedetto XVI- risponde la dottrina sociale della Chiesa. Essa è « caritas in veritate in re sociali »: annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità. La verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia. È, a un tempo, verità della fede e della ragione, nella distinzione e insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi. Lo sviluppo, il benessere sociale, un’adeguata soluzione dei gravi problemi socio-economici che affliggono l’umanità, hanno bisogno di questa verità. Ancor più hanno bisogno che tale verità sia amata e testimoniata. Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali”.

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