Fulmine a ciel sereno! Inatteso ed assolutamente imprevisto, è giunto l’intervento del Papa Emerito sotto forma di 18 paginette di appunti elaborati per il Sinodo sugli abusi.

Diciotto paginette le quali però, al di là della volontà  e certamente per via solo indiretta e riflessa,  sono entrate con la forza dirompente della buona novità, nel dibattito da tempo aperto da Convergenza Cristiana 3.0 sulla necessità in Italia di un partito di solida ispirazione cristiana e fortemente identitario.

Il passaggio decisivo, anche se apparentemente innocuo, lo rinvengo in pochi e sintetici concetti, lasciati cadere quasi casualmente in quelle paginette: “ una società nella quale Dio è assente – una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse – è una società che perde il suo criterio…” ed ancora “ la società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e nella quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società nella quale si perde sempre di più il criterio e la misura dell’umano”.

Poche parole, è vero, ma per l’orecchio attento alle cose politiche, parole che spostano in alto e di molto, l’asticella dell’equilibrio tra Chiesa e mondo moderno. Spostano il confine del compromesso ideale siglato nello storico confronto del 19 Gennaio 2004 tra l’allora Cardinal Ratzingher ed il filosofo Jürgen Habermas.  Quel giorno, all’alba del nuovo secolo, il mondo laico riconobbe per bocca di Habermas l’importanza ed il valore della religione per la società moderna e per i suoi ordinamenti civili, e la Chiesa riconobbe per bocca del Cardinal Ratzinger, l’importanza della ragione e della razionalità per la sussistenza della fede e della religione nel mondo contemporaneo. Un onesto compromesso.

Quel giorno, il ‘Secolo Breve’ poteva considerarsi finalmente morto e cedere il proscenio ad un mondo nel quale Chiesa e mondo moderno avrebbero potuto convivere ed aiutarsi reciprocamente. Le diciotto paginette di Papa Benedetto seppelliscono quella ipotesi e cambiano le premesse per raggiungere un onesto compromesso.

La ragione, da sola e lontana da Dio, non è in grado di costruire un mondo giusto ed il fallimento del modello di globalizzazione imposto dagli illuminati e dalla tecnocrazia finanziaria avara e miope, sta là a confermarlo. Ma anche la religione se ridotta a fatto culturale e puramente privato; se demetafisicizzata come nel pensiero di Habermas; se evirata dalla verità, cioè dalla fede in un Dio Creatore, trascendente ma anche Salvatore perché amante dell’uomo sino ad abbracciarlo teneramente, nulla può. Di qui l’amara constatazione del grande Papa: un mondo che volta le spalle a Dio, perde di senso.

Significativamente anche nel dibattito apertosi all’interno del mondo dei giuristi cattolici sull’appannamento del diritto naturale e sulla necessità di tornare pienamente ad esso, si è giunti alle stesse conclusioni limpidamente tratteggiate nelle 18 paginette. In una società senza fede, cioè senza la sottomissione ad un Dio creatore ed alla sua legge divina, non si può costruire un Ordinamento Giuridico pienamente giusto e completamente umano.

La crisi dell’Occidente, ma anche dell’Oriente, è una crisi di fede e perciò etica. In questa crisi si annida il “collasso morale” che è il doloroso spettacolo che offre una società dove Dio è stato eclissato. Questo è il punto e questo è il dato oggettivo da cui partire o meglio ripartire.

La domanda allora è: al collasso morale fa seguito necessariamente anche il collasso del progetto, direi, dell’idea stessa del cattolicesimo politico e sociale? La nostra risposta l’abbiamo data, e data da tempo.

Le 18 paginette del Pontefice che si è ritirato ci aiutano a motivarla: No, è esattamente il contrario ! Un forte partito di solida e coerente ispirazione cristiana è un antidoto potente al collasso morale e perciò anche politico di una società, della nostra società.

A ben vedere allora il ‘ Secolo Breve non solo non è finito, ma per vero neanche cominciato, se non in modo incerto e solo nella dimensione della narrazione cronologica.

Il grandissimo Leone XIII nel congedarsi aveva ben preparato la Chiesa intera, Laici e Ordine Sacro, al secolo nuovo con tre splendide Encicliche: la ‘Rerum Novarum’, la ‘Immortale Dei’ e la “ Aeterni Patris”.

La ‘Rerum Novarum’ fu accolta, capita a fondo e dunque diede copiosissimi frutti, primo dei quali l’opera appassionata e geniale di Luigi Sturzo, animato nella sua azione politica proprio da quelle eccezionali pagine.

Le altre due Encicliche invece non furono capite appieno e sono rimaste nel chiaroscuro del sottofondo della storia del ‘Secolo Breve’, sino al ‘collasso morale’ tratteggiato magistralmente nelle diciotto paginette ed oggi evidente. Solo oggi si comincia a capire la straordinaria attualità della ‘Immortale Dei’.

In presenza di fenomeni aberranti come il comunismo ed il nazismo fu impossibile agli intellettuali cattolici di quelle generazioni arrivare a comprendere il principio fondamentale e non certo nuovo fissato in quella Enciclica: “ Ogni potere viene da Dio”. Quelle esperienze storiche infatti furono esattamente l’opposto e come tali furono vissute: l’incarnazione di un potere che non viene da Dio e che è invece rivolto contro Dio.

Oggi, Papa Benedetto risponde alla eccezione, seppure indirettamente integrando l’asserto. “Ogni potere viene da Dio”, questo è un dato certo e pacifico, ma è altrettanto certo e pacifico che: “ogni potere è e deve essere finalizzato a Dio”.

E questa è la parte mancante che ben spiegano le diciotto paginette, mandando in soffitta Jürgen Habermas ed ogni ipotesi di religione demetafisicizzata, in buona sostanza ed in ultima analisi atea. Dio non è e non può essere relegato solo nella sfera del privato perché ogni società che volta le spalle a Dio perde di senso e di criterio.

Cosa significa tutto questo per un laico che senta come propria vocazione specifica quella di impegnarsi in politica?

Occorre dare una risposta a questa domanda e risolvere la questione che sta davanti alla nostra generazione, alla generazione di una società che ha largamente voltato le spalle a Dio.

Assicuro gli affezionati lettori che non ho alcuna nostalgia del Papa Re, se non nelle Domeniche pomeriggio dei piovosi inverni romani, quando ancora una volta e con gioia di tutti, “ Rugantino” torna in cartellone al  Sistina.

Ma li assicuro anche che non ho neanche nessuna, ma proprio nessuna nostalgia della pur profonda pagina che il luterano Karl Barth dedica esattamente al tema illustrato dalla ‘Immortale Dei’ commentando il capitolo 13 della lettera ai Romani, di recente ripubblicato.

L’esercizio dell’attività politica è una virtù altissima ed una arte nobilissima. Colui cui è conferito il dono del governo è particolarmente amato da Dio e dunque gravato da eccezionale responsabilità e sostenuto da particolari grazie. I Cattolici devono essere presenti in politica si individualmente sia come gruppo identificabile ed identificato. Barth è in errore.

Voglio allora solo spiegare il principio che ogni potere è finalizzato a Dio con le semplici ma profonde parole attinte dalle 18 paginette di Papa Benedetto: “……Mezzo secolo dopo non era più possibile assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura. Dio viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può essere assunto come criterio di misura della Comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza”.

E’ questa semplice precisazione che dà senso compiuto e profondità di prospettiva al nostro lavoro, giustifica in modo esauriente il perché abbiamo deciso di aggiungere il 3.0 al nostro nome.

La fede non è fatto meramente privato, perché la tensione naturale verso Dio dell’uomo si riflette nel fatto sociale, impastandolo di soprannaturale e dunque modellandolo in modo speciale ed unico. La fede dà al fatto sociale ed all’ordinamento giuridico che ne deriva senso, struttura etica e logica fondante. Per questo motivo gli dà anche e di conseguenza, prospezione storica, struttura ordinamentale e senso politico razionale. Per questo insieme di motivi qui si annida la radice e la giustificazione filosofica ultima della Dottrina Sociale, gradualmente e con sapienza soprannaturale costruita dalla Chiesa.

Ma qui si annida anche la base ed il fondamento giustificativo ultimo ed irrinunciabile dell’impegno politico dei cattolici, come singolo e come gruppo.

Il primo modello di società giusta ed orientata a Dio è proprio quelle immaginato da Paolo nel capitolo 13 della lettera ai Romani: una società nella quale bisogna pregare per i Governanti perché permettano a tutti di liberamente alzare le mani al cielo e pregare Dio. Per questo è stato conferito loro il potere e per questo occorre pregare per loro. Anche oggi in tempi di mondo globale interconnesso tanto diversi dai tempi di Paolo, Dio deve tornare ad essere assunto come criterio di misura della Comunità nel suo complesso e dunque la fede deve tornare ad essere amalgama ideala della politica e dell’impegno politico dei cattolici. Già ! Ma come?

Rispondo con la prima ovvia considerazione. Innanzi tutto occorre attingere conservandolo, al criterio del precedente storico. Occorre conservare ravvivandolo sempre, il lascito prezioso delle esperienze politiche delle generazioni che ci hanno proceduto. Ecco allora l’attualità della esperienza del municipalismo e dell’associazionismo mutualistico della prima generazione dei cattolici impegnati in politica e nel sociale; quella del ‘non expedit’; quella di Toniolo e dell’Opera dei Congressi. E non spendo molte parole per evidenziare sintonie tra la nostra e la loro generazione, sol che si pensi all’attacco al terzo settore oggi in atto. Ma poi ed anche, ecco l’attualità del il personalismo cristiano elaborato genialmente da Maritain e Mounier e incarnato in modo splendido dalle generazioni salite alla ribalta dopo i disastri provocati dal Fascismo; la generazione che ha ricostruito l’Italia.

Risparmio nuovamente al lettore l’analisi delle analogie tra ieri ed oggi.

Certo le 18 paginette di Papa Benedetto ed il superamento da esse decretato dell’equilibrio tra fede e ragione raggiunto idealmente nello storico confronto del 19 Gennaio del 2014 hanno gettato alle spalle quelle ricchissime stagioni del cattolicesimo politico  divenute di colpo obsolete ed hanno aperto orizzonti nuovi e molto più ampi, quelli dei tempi e delle generazioni del 3.0 appunto.

Muove allo sbadiglio annoiato la preoccupazione di chi teme che qualcuno per motivi personali voglia ammantarsi della qualifica di cattolico per lucrare vantaggi politici personali.

La storia di questi ultimi 20 anni di diaspora e di irrilevanza, dimostra esattamente il contrario.

Qui, il qualificarsi cattolico ha significato automaticamente l’accettazione della irrilevanza e della marginalità.  Oggi invece occorre la rilevanza, cioè la forte caratterizzazione, seppur da posizioni di minoranza.

Il ‘ primum’ inderogabile del 3.0 allora,è con evidenza il marcare i nuovi confini che dividono ciò che è di Dio da ciò che è di Cesare.

Detto in altro modo la costruzione di una società alimentata dalla fede fondata sulla legge naturale; una società giusta perché riconosce a Dio un posto, il suo posto nell’ambito pubblico.

Fondamentalismo d’accatto si obietta? Preferisco qualificare questa posizione come intransigente; intransigente nel senso sturziano del termine. Oggi non si tratta certamente come allora di difendere i poveri esclusi dai benefici e dalle opportunità di uno Stato fondato sul censo e non solidale, costruito proprio dalle élites dominanti massoniche e sabaude di allora, tema questo pur attuale. Né si tratta di ricostruire l’Italia distrutta dalla guerra, anche questo tema attuale considerando la destrutturazione sociale ed economica operata da 25 anni di bipolarismo e di crisi economica indotta dalla globalizzazione selvaggia.

Oggi per i cattolici impegnati in politica il progetto difficile ma non impossibile da realizzare è un altro: far confluire in un disegno politico organico ed unitario i valori etici nei quali la persona sia al centro della Società in posizione precedente e poziore allo Stato sia nel modello economico, sia nei diritti sociali e politici, con una legislazione coraggiosa capace di riscrivere la dommatica del rapporto tra Pubblico e Privato, tra capitale e lavoro, e tra debitore e credito uscendo dalle improvvisazione di improbabili contratti di governo. Soprattutto significa impegnarsi a riscrivere le linee guida di una politica estera che sia veramente e non a parole protagonista della costruzione della pace.

Si tratta in ultima analisi di dare vita ad un mondo nel quale i principi di solidarietà e sussidiarietà siano punti di arrivo da realizzare e non semplice parole astratte.

Questo vuol dire difendere con convinzione e coraggio i valori che appartengono a Dio e non a Cesare; per capirci difendere i valori della vita, dei diritti del nascituro e del minore di crescere all’intero di una famiglia fondata sull’amore esclusivo e permanente tra uomo e donna. Ma anche di costruire un nuovo e più solido equilibrio tra diritti individuali e doveri comunitari e collettivi, la qual cosa significa applicarsi ad una rinascita dal basso del senso del dovere e poi, all’interno di questa più vasta cornice, raggiungere il consolidamento dell’originario patto costituzionale e con esso la individuazione di linee guida per la rifondazione dello Stato, l’ammodernamento nel suo complesso del nostro Ordinamento giuridico ed amministrativo.

Il cattolico impegnato in politica insomma deve essere il protagonista di una piccola, o meglio grande rivoluzione che passa per scelte politiche coraggiose ed in qualche modo radicali.

Per non rimanere nel generico abbozzo alcuni punti ormai individuati ma che richiedono ulteriore approfondimento ed analisi. Il lavoro e la questione giovanile; il rilancio della piccola e media impresa e la difesa dei ceti medi schiantati dalla crisi; la tutela del risparmio; un nuovo welfare veramente solidale; la difesa reale delle fasce più deboli della società in primis la famiglia.

Ecco allora l’attualità straordinaria delle parole consegnate in semplici diciotto paginette da Papa Benedetto: occorre recuperare la dimensione pubblica del volto di Dio e tornare alla fede per avere una società migliore ed una politica più alta.

Al laico il compito di elaborare il progetto politico di bene comune in cui calare l’operatività concreta ed il concreto agire quotidiano. Al suo partito, il partito di forte identità e di solide radici cristiane, il compito di elaborare la sintesi culturale e mettere a punto la strategia politica quale base per chiedere il consenso e con il quale conquistare la legittimazione a governare.

Lodevolmente ed opportunamente gli amici di ‘Politica Insieme’ hanno iniziato questo percorso di elaborazione intellettuale e programmatica, che sì tanti consensi va conquistando nella amplissima base di cattolici che non si riconoscono – e giustamente – e in alcuna delle formazioni oggi presenti in Parlamento.

E’ il primo passo importante verso il nuovo che avanza ed a loro va il nostro sentito grazie. Con un avviso però. Il ‘Secolo Breve’ è quasi finito, perché anche grazie alle scarne paginette di Papa Benedetto si è finalmente capito in che senso, perchè e con quali limiti ‘ogni potere viene da Dio ed è finalizzato a Dio’. Ma perché il ‘secolo breve’ termini del tutto occorre capire e riscoprire la terza grande Enciclica Leonina, la ‘Aeterni Patris’ e dunque tornare a Tommaso.

Ogni cosa a suo tempo. Per ora mi limito a dire che il nuovo secolo è alla fine iniziato con la vera novità che Papa Benedetto ci ha discretamente proposto senza però dirlo. Provo a dirla io con le mie parole e superando al meglio l’ostacolo drammatico che attende i grandi pianisti che si cimentino nella interpretazione di Chopin: dare forma e rilevanza al “rubato” senza travisare lo  spartito, ma arricchendone la melodia. Dare percezione poetica di un tempo di che non c’è nello spartito ma che va fatto cogliere nell’interpretazione.

La politica è certamente la forma più alta di carità, per stare al grandissimo Papa Montini. Ecco questo è il testo chiaro ed accettato dello spartito che tutti in sala leggono con attenzione e naturalmente condividono. Ma in tempi nei quali la fede deve impastare la storia per salvare sé stessa e la società in cui si incarna, la politica è anche e sopratutto la più alta forma di evangelizzazione.

Questa è la novità dei nostri tempi. E non può che essere così perché l’annuncio è certamente lievito ma è soprattutto luce e i cristiani sono per definizione lampada posta sopra il moggio. Lampada e luce per tutti, sempre e ovunque,  e dunque anche in politica e nella costruzione del bene comune…. ‘chi non raccoglie con me disperde’ (Mt. 12 – 30). Quando si capirà Tommaso e la terza Enciclica con la quale il grande Leone XIII aprì il secolo nuovo, la ‘Aeterni Patris’ sarà facile capire che la politica è la più alta forma di Evangelizzazione, ed allora e solo allora il ‘secolo breve’ sarà finalmente finito e non ci sarà bisogno del  ‘rubato’ Chopinano’ per costruire una società nuova e migliore.

Emilio Persichetti

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