Nell’Europa del 2017, ci può essere un leader politico cattolico?
E’ la domanda del The Economist in vista delle elezioni in Francia, Germania ed Olanda ( CLICCA QUA ). Tre nazioni, cui potrebbe aggiungersi anche l’Italia, in cui i cattolici hanno svolto un ruolo politico fondamentale.
Il settimanale economico londinese ricorda l’importanza di Adenauer, De Gasperi e Schuman nel porre le basi fondamentali su cui si è andata articolando la costruzione dell’Europa, permeata profondamente dallo spirito democratico cristiano.
The Economist sottolinea la presenza di esponenti cattolici nell’attuale contesto politico europeo constatando come, però, qualunque sia la loro collocazione, di centro destra, centro o centro sinistra, siano destinati inevitabilmente alla sconfitta a causa delle loro posizioni in materia di bio etica e riproduzione umana.
Una conferma viene colta dal settimanale britannico nelle recenti dichiarazioni del candidato Fillion in Francia, intenzionato a non riaprire il dibattito sull’aborto nel caso di sua vittoria alle prossime presidenziali.
Altra conferma verrebbe dal comportamento pratico tenuto da Mariano Rajoy, in Spagna, e da Matteo Renzi, in Italia: leader di estrazione cattolica i quali, però, si sono guardati bene da modificare o non introdurre quei provvedimenti in materia di coppie gay che la Chiesa non accetta.
Insomma, secondo il settimanale britannico, eventuali leader cattolici sarebbero destinati al disastro elettorale se anteponessero quelle che dovrebbero essere le loro posizioni in materia di etica alla necessità di lasciar passare provvedimenti di chiara e netta impronta laicista.
C’è però da chiedersi se la domanda iniziale, fondata, interessante ed intrigante, non finisca per riceve dall’autore una risposta riduttiva.
Partiamo, intanto, dalla constatazione che, per degli autentici politici cattolici, le questioni etiche dovrebbero abbracciare anche molto altro: la coerenza tra i comportamenti personali e quelli pubblici, soprattutto nella gestione della cosa pubblica, la qualità delle loro scelte in economia, il modo di guidare le istituzioni, l’attenzione alle fasce sociali più deboli, eccetera , eccetera.
I tempi moderni chiamano al confronto con fenomeni molto complessi tra i quali spiccano quelli dei nuovi paradigmi dell’economia, il mutamento degli equilibri sociali, il ruolo della scienza e delle tecnologie, il trasformarsi delle principali dinamiche della politica estera.
E’ possibile, allora, che le sorti di un eventuale leader cattolico possano restare legate esclusivamente alle due questioni, pur importanti, della bio- etica e della riproduzione della specie umana, quando è necessario per le attuali condizioni dei paesi europei pensare ad un progetto complessivo di rinascita per l’intero Vecchio continente?
Viene immediata una digressione su come, dopo la stagione della fine delle ideologie, tra cui erroneamente è stata collocata anche la proposta politica dei democratici cristiani, si assista senza colpo ferire al riproporsi di un laicismo diventato molto spesso aprioristico ed, esso sì, fortemente ideologizzato. Un po’ come accaduto per il liberismo, restata vera e propria visione unica dominante sulle ceneri di quelle della sinistra e della destra fascista.
Ciò premesso, il ragionamento del settimanale economico finanziario londinese potrebbe essere integrato con alcune considerazioni importanti.
La prima: il Partito popolare europeo è pur sempre l’organizzazione politica più forte nel Parlamento europeo.
Anche se, a questo proposito, non possiamo dimenticare quanto il Ppe sembra aver smarrito, talvolta, il collegamento con l’autentica tradizione democratico cristiana ed aperto le proprie fila a molte organizzazioni troppo poco caratterizzate dal richiamo all’impegno sociale della Chiesa cattolica e neppure espressione di quello spirito conservatore più evoluto cui è stata legata la storia della grande borghesia europea caratterizzata anche dall’attenzione verso le questioni del mondo del lavoro.
E’ evidente, insomma, che anche i popolari europei si sono prestati a diventare uno dei “ cavalli di Troia” utilizzati dal mondo finanziario e dalle grandi imprese multinazionali per allontanare l’Europa dai suoi cittadini e, dunque, dalle prospettive più affascinanti suggerite dai padri fondatori.
Non può esserci anche qui da individuare un problema per un eventuale leader cattolico?
E’ evidente che il movimento democratico cristiano e popolare è stato, ed è tuttora in crisi in molti paesi dove per decenni ha svolto una funzione trainante. Basta lanciare lo sguardo anche verso l’America Latina.
Ma questa difficoltà, in particolare in Europa, non trova il fondamento proprio nel contrario di quel che sottolinea The Economist? Cioè, nel fatto che i politici cattolici hanno troppo speso rinunciato a riproporre con spirito di dialogo, ma anche con forza, i loro punti di riferimento costituiti dalla piena e coerente adesione alla Dottrina sociale della Chiesa e a quell’insieme di valori al cui centro c’è la difesa ed il sostegno della persona nella sua integralità.
Ciò ha comportato in alcuni casi anche la rinuncia ad impegnarsi in una partecipazione costruttiva e non ideologica al dibattito su temi etici “ scottanti” il cui sbocco dovrebbe essere un’attività legislativa diretta alla difesa di quei sostanziali diritti naturali, propri di ogni uomo e di ogni donna, della famiglia, delle aggregazioni sociali intermedie, il cui rispetto sta alla base del vivere civile e democratico moderno.
Diritti, in Italia, sanciti dalla Costituzione e che nel Codice civile avrebbero potuto trovare, in molti casi, una soluzione non traumatica e costruttiva per tutti.
I cattolici democratici, insomma, potrebbero essere rimproverati, all’opposto di quanto sostiene il settimanale londinese, di aver limitato il loro impegno e di non aver saputo offrire alla società intera l’occasione di una corale riflessione sul recupero di una reale dimensione umana delle questioni al tappeto; riguardassero problematiche etiche, economiche, istituzionali e sociali.
Il caso di Matteo Renzi rischia, poi, paradossalmente di rovesciare completamente le conclusioni cui giunge il foglio londinese.
E’ stato proprio Renzi, infatti, oltre che a portare il Pd nel Partito socialista europeo, a favorire l’approvazione della legge Cirinnà e a lasciare via libera all’ala più laicista del suo partito. Non sembra, però, che tutto ciò gli sia servito a molto.
Non siamo, allora, di fronte alla conferma che il valore autentico di un leader si misura sulla capacità di offrire una visione complessiva ed una proposta politica capace di superare davvero le divisioni, tutte le divisioni, oggi presenti nella società contemporanea?
Giancarlo Infante
Di seguito il testo integrale del The Economist, raggiungibile al seguente indirizzo web http://www.economist.com/blogs/erasmus/2017/02/religion-european-politics?fsrc=scn/tw/te/bl/ed/
“ In the Europe of 2017, can there be such a thing as a Catholic political leader? That seems like a topical question in a year when the European Union is being shaken to its foundations and at least three European democracies (France, Germany, the Netherlands) face elections in which issues of culture and identity loom large.
Before even thinking about the matter, it is worth recalling that Europe’s transnational institutions, as they emerged after 1945, were deeply Catholic in inspiration. Devout statesmen such as Robert Schuman of France, Italy’s Alcide De Gasperi and Konrad Adenauer of Germany (pictured, left to right) laid the groundwork for a new continental order in which national divisions would be overcome and Western Europe, at least, would stand firm against totalitarianism. Politicians who had resisted fascism, in the name of their Catholic faith, were seen as well-placed to oppose the new menace of atheist communism, and the movement known as Christian Democracy took shape.
These days, Catholicism still surfaces in European debates, albeit not usually as a decisive factor. At a time when Islam is the fastest-growing form of religious practice on the continent, politicians of the right, centre-right and even centre-left can still appeal to nativist sentiment by stressing the importance of the continent’s historic faith. But the evidence suggests that any aspiring politician who tried, in the name of Catholicism, to roll back the liberal consensus on bio-ethical and reproductive issues would be thumped electorally.
In France, there was talk of Catholic influence re-emerging when the devout François Fillon prevailed in primaries as the centre-right candidate for the presidency. He had challenged France’s powerful pro-choice consensus by saying that “philosophically and in view of my personal faith, I cannot approve of abortion”. But he also stressed that he would not seek to overturn the country’s liberal legislation in this area because it was “not in the public interest” to reopen that debate. France’s electorate does have a socially conservative segment, as is shown by the emergence of a protest movement (mainly against gay marriage and adoption) called Manif Pour Tous. In that quarter, voters probably welcome Mr Fillon’s piety, and some dismiss as a frame-up recent allegations about improper payments to his wife. But it says something about modern France that both Mr Fillon and his centre-right rivals have been keen to play down any political dependence on Manif.
Italy’s Matteo Renzi, who was prime minister until December, was unusual as a young European leader to profess loyalty to his Catholic roots. Born in 1975, his mini-biographies always note that he was part of a Catholic scout movement in his youth. But he was at odds with the church, and in tune with his generation, in pushing through legislation to on same-sex unions; he even supported an ultimately unsuccessful amendment that would have granted parental entitlements to a non-biological parent in a gay union. The new prime minister Paolo Gentiloni had a warm relationship with the Holy See during his previous post as foreign minister; he quietly encouraged Italian embassies and the Vatican’s diplomatic service to collaborate in supporting embattled Christian communities around the world. But, says Pasquale Annicchino, a religion scholar at the European Union Institute, this was more of a pragmatic link-up than an act of piety on Mr Gentiloni’s part.
In parts of Europe where Catholicism is strong but also controversial, politicians have had to edge back from socially conservative positions. Spain’s centre-right prime minister Mariano Rajoy strongly contested his country’s gay-marriage legislation when he was in opposition; but on taking power he said he would leave the matter to the judiciary, which upheld the liberal law. In 2015, he made waves by attending the gay marriage of a political ally. In Poland, moves to tighten the country’s abortion laws were abandoned last October after protests against the change drew huge numbers.
And in one of the heartlands of political Catholicism, Bavaria, relations between the locally dominant Christian Social Union and the Catholic church are nothing like as cosy as they used to be. Some of region’s conservative politicians consider the church of Pope Francis too liberal by half on matters of immigration. The Catholic credentials of Horst Seehofer, the state premier, have been compromised since 2007 when it emerged that he had an extramarital affair and a child out of wedlock.
Mr Annicchino, whose writings compare the role of religion in European and American government policy, describes the transformation in Europe as follows. For politicians like De Gasperi, he says, Catholicism was a “grand narrative” which shaped their entire world-view; they saw their faith as a uniquely compelling alternative to tyranny of the left or right. Vast changes in Europe’s culture and educational landscape make it unlikely that a leader of that mindset would emerge now. These days, politicians can nod towards Catholicism as part of a political tactic but they are unlikely to let the faith fill their entire intellectual horizon. And if they did, it might be added, that wouldn’t be an electoral winner.