Il prolungarsi della crisi di questi ultimi anni ci dimostra che qualcosa nel modello economico che regola le nostre vite non funziona a dovere. Il fatto che a gestire la crisi ci siano le stesse persone e le stesse regole fondamentali che ci hanno portato in questa situazione dovrebbe indurre una seria riflessione.
Sicuramente sbaglia chi rimpiange i bei tempi andati se non comprende che viviamo oggi ciò che abbiamo costruito in precedenza. Ma sbaglia anche chi continua a credere ciecamente che questo sistema capitalistico abbia in se gli anticorpi per risolvere il problema. Urge un cambiamento. E questo cambiamento deve poggiarsi su dei principi chiari e definiti. Perché l’organizzazione economica e sociale esiste perché serve alla vita degli uomini e donne di questo mondo, mentre oggi il sistema sembra diventato un mostro burocratico che mira alla sua sopravvivenza a discapito delle persone umane.
Se si affronta il tema di un cambiamento occorre definire quali siano le basi, i valori di riferimento su cui costruire questo cambiamento, può sembrare un lavoro a prima vista difficile, ma se ci pensiamo bene la Chiesa sin dalla fine dell’Ottocento si è sempre posta la preoccupazione di affrontare tematiche sociali e nel tempo sono stati prodotti diversi documenti dove i temi fondamentali non sono mai stati smentiti. Anzi alla luce di questa crisi proprio la Dottrina Sociale della Chiesa può tornare utile alla creazione di quelle basi di valori per cambiare direzione a questo nostro mondo.
Non è un lavoro che si può riassumere in poche righe, ma penso che sia importante fare una considerazione preliminare. Uno dei mali di questi tempi è il dilagante scetticismo rispetto alle possibilità di un vero cambiamento, una depressione che porta molti a dire che il processo di globalizzazione ha reso ingovernabili molti processi economici, politici e sociali. Sono invece convinto che un processo di cambiamento è non solo auspicabile ma anche assolutamente possibile. Mi viene in mente un bellissimo libro scritto da un economista francese del Settecento Fredèric Bastiat, il quale scrisse un saggio dal titolo “Quello che si vede e quello che non si vede”, nel quale rimarcava “… la differenza tra un cattivo ed un buon economista: uno si limita all’effetto visibile, mentre l’altro tiene conto e dell’effetto che vede e di quelli che occorre prevedere” affermando che “il cattivo economista persegue un piccolo bene immediato che sarà seguito da una grande male futuro, mentre il buon economista persegue una grande bene futuro, a rischio di un piccolo male immediato”. Possiamo dire che il sistema economico globale ha prodotto in questi anni molti piccoli beni immediati che ci hanno portato a quel male futuro che è per noi oggi “presente”? Possiamo dire che la Dottrina Sociale della Chiesa in questi anni ha lavorato per il perseguimento di un grande bene futuro? Io penso di si! E credo che sia giunto il momento di concretizzare tutto questo lavoro passato.
Nello stesso libro Bastiat racconta una storiella semplice che credo sia esemplificativa del lavoro che si deve fare. Bastiat racconta la storia del buon borghese Giacomo Buonuomo, e del suo terribile figliolo che riuscì a rompere una finestra di vetro. Di fronte alla rabbia del padre molte furono le consolazioni ascoltate: “non tutto il male viene per nuocere; incidenti come questo mandano avanti l’industria; bisogna che tutti possano vivere; che fine farebbero i vetrai, se non si rompessero mai i vetri? ” E così il Buonuomo dovette spendere sei franchi che finirono all’industria del vetro, per la gioia del vetraio e la rabbia del papà.
“La vostra teoria si ferma a quello che si vede!” direbbe il Bastiat agli economisti consolatori di cui sopra.
“… ma non tiene conto di quello che non si vede” proseguirebbe con certezza, “… non si vede che, poiché il nostro borghese ha speso sei franchi in una cosa, non potrà più spenderli in un’altra. Non si vede che, se non avesse avuto dei vetri da sostituire, egli avrebbe sostituito, per esempio, le sue scarpe scalcagnate, oppure avrebbe messo un libro in più nella sua biblioteca. In breve, avrebbe fatto dei suoi sei franchi un uso qualunque, che invece non farà.”
Se facessimo poi un conto economico del Giacomo Buonuomo: “… nell’ipotesi del vetro rotto, egli spende sei franchi, ed ha, né più né meno di primo, il vantaggio di un vetro. Nell’ipotesi in cui l’incidente non fosse accaduto, avrebbe speso sei franchi in scarpe ed avrebbe, insieme, il vantaggio di un paio di scarpe e quello di un vetro.”
Rapportato ai giorni d’oggi, credo che sia evidente come in un sistema in cui a dominare sia il libero mercato, oramai globalizzato e quindi democraticamente distante dalle esigenze degli uomini (in politica la maggioranza delle persone vince, nel mercato è la maggioranza del capitale a vincere) si debbano introdurre dei correttivi, dove la maggioranza delle persone si riappropri del potere decisionale rispetto alla maggioranza del capitale. Per riavvicinare (non dividere) le due realtà per una migliore risposta alle esigenze dell’uomo moderno.
E’ questo il compito della politica, tornare a rappresentare gli uomini e le donne fondando il lavoro su quel patrimonio di saggezza che la Dottrina Sociale della Chiesa ha portato a nostro beneficio in questi anni.
Chiudo ricordando che questo patrimonio non è rimasto solo su carta scritta, molte sono le esperienze concrete, passate e presenti, di reale attuazione di questi principi cristiani. Perché in questi tempi bui abbiamo tutti bisogno di sagge parole e virtuose testimonianze, perché come diceva Gene Wilder nel divertente film Frankenstein Junior: “SI PUO’ FARE!”
Gianni Di Noia