Mentre l’Italia, particolarmente la classe politica, parla d’altro,  l’importante questione delle privatizzazioni si sta facendo sempre più incombente sullo scenario immediatamente futuro. Lo ha appena ricordato, nel silenzio pressoché generale, Il Sole 24 Ore con un articolo dello scorso 25 agosto.

Il quotidiano economico milanese sostiene che “ diverse banche d’affari” e un “paio di studi legali” stiano lavorando alla creazione di una “ super holding” per la vendita in “ un solo colpo” delle principali aziende di Stato.  Il progetto servirebbe a “ supportare” il Ministero del Tesoro per quella che si rivelerebbe “una mossa chiave  per ridurre il debito”.

Il giorno dopo è tornato sulla questione, ripetendo sostanzialmente quanto sostenuto da Il Sole 24 Ore, il quotidiano La Verità, con l’aggiunta di una valutazione perplessa sul fatto che la vendita in “ un solo colpo” possa rendere meno remunerativa l’operazione e la clamorosa affermazione che l’attività di queste “ diverse banche d’affari” e un “ paio di studi legali” ( il cui nome, ovviamente, è  ancora una volta tenuto riservato), in sostituzione o in surroga delle istituzioni pubbliche, finirebbe addirittura per essere retribuito con i soldi dei contribuenti visto che, secondo La Verità, verrà presentata al Ministero del Tesoro una bella parcella.

Affermazioni gravi cadute nel vuoto pressoché totale perché  la classe dirigente di questo Paese ha proprio perso il senso delle cose e della misura, mentre contempliamo la continua erosione del numero dei votanti.

Spero proprio che qualcuno, a partire dal Presidente della Repubblica il quale, fino a prova contraria, nomina i ministri e soprassiede al loro giuramento di servire la collettività, si decida a fare chiarezza e ad informare i cittadini su come stanno realmente le cose su una questione cruciale.

Se tutto ciò non venisse precisato o smentito,  ci si troverebbe di fronte ad una sconcertante operazione destinata a far riflettere seriamente sulla natura e le finalità perseguite da chi, in questo momento, e solo pro tempore, ha la responsabilità della cosa pubblica.

Non interessa, adesso, affrontare gli aspetti tecnici di un intervento la cui conseguenza sarà quella di impoverire ulteriormente il Paese e le future generazioni, bensì porre all’attenzione di tutti una riflessione politica sulla opportunità e, persino, la liceità di una dismissione del genere.

Non si tratta neppure di essere contrari per principio alle “ privatizzazioni”, bensì di guardare per prima cosa al “ bene comune”.

Valutare, cioè,  se ci si trovi di fronte ad un progetto in grado di portare un arricchimento  per l’intera collettività e assicurare un’autentica liberalizzazione del cruciale mercato dei servizi fondamentali per cittadini e famiglie.  Visto che parliamo di energia elettrica, di approvvigionamento petrolifero, di trasporti.

Parto dal considerare che una questione così importante non possa essere gestita senza un adeguato dibattito, dentro e fuori del Parlamento, mentre siamo giunti a fine legislatura. La definizione della proposta, inoltre,  non può essere affidata ad entità private all’interno di  un rapporto con il Ministero del Tesoro tutto da chiarire, forse, persino sotto gli aspetti della correttezza formale e sostanziale.

L’attuale esecutivo vive in uno stato grave carenza di credibilità per le note vicende che ne hanno accompagnato, a partire dal giorno dopo le elezioni politiche, la formazione e la sopravvivenza.

Nonostante questo, ci si arrogherebbe il diritto di alienare ancora altri pezzi del patrimonio nazionale, nonostante le precedenti fallimentari esperienze in proposito. La giustificazione è la solita: ridurre il debito. Lo dice un Governo che ha continuato, come i precedenti, sulla via dell’aumento del debito.

Facciamo finta di dimenticare completamente le precedenti, simili operazioni servite solamente a  favorire spudoratamente gruppi di interessi nazionali ed esteri ben precisi, senza che questo benedetto debito si riducesse.

Il Parlamento, se vi è rimasto in esso un rigurgito di dignità,  e il Presidente della Repubblica  dovrebbero intervenire sulla cosa fermando sul nascere una linea sbagliata e,  viene da dire, persino oscura.

Questo Governo vuole svendere altri pezzi di Eni, Enel, Ferrovie dello Stato, ecc, insistendo su visioni ideologiche liberistiche carenti di prospettiva e di respiro, come quelle che hanno portato, ad esempio, l’Acea di Roma  a snaturare la natura di fornitrice di servizi ai cittadini per dare un peso predominante a investitori privati il cui obiettivo è solo la massimizzazione dei profitti, come le recenti vicende della carenza d’acqua a Roma confermano.

Da quanto si capisce dai due articoli sopra citati,  le nuove privatizzazioni seguirebbero proprio questa prospettiva: creare una società che, solo formalmente, resterebbe in mano al pubblico, mentre i giochi veri sarebbero condotti dal socio privato, o soci privati, di minoranza.

La nuova legislatura, invece, dovrebbe proprio partire, anche su questa materia, indicando un percorso diverso che punti davvero al “ bene comune”.

Non si tratta qui di riproporre la vetusta divisione tra pubblico e privato, bensì di cominciare a pensare ad un’autentica  e ragionevole effettiva ” pubblicizzazione” del patrimonio rappresentato dalle grandi aziende fornitrici servizi e dai gestori di reti infrastrutturali.

Forse, è venuto il momento di dare corso ad una riflessione sull’opportunità di puntare, ad esempio, alla nascita di  un azionariato popolare diffuso. Non mancano  i dovuti accorgimenti affinché si eviti l’incetta dei titoli da parte dei gruppi finanziari e fare in modo che il nostro patrimonio e la sua gestione restino davvero nelle mani di cittadini, utenti, consumatori.

Le azioni di queste società possono costituire, invece, un’altra occasione di reddito per le famiglie degli italiani cui si offre la possibilità di diventare i veri proprietari dei  beni pubblici in maniera diretta senza la mediazione della struttura politica –  partitica-  istituzionale che ha dimostrato negli ultimi decenni l’assoluta incapacità di gestire adeguatamente il nostro patrimonio.

A suon di vendite compiacenti, invece, abbiamo partecipato alla deindustrializzazione del Paese, distrutto la nostra industria chimica, quella della produzione dell’acciaio e dell’alluminio, lasciato nelle mani di un solo soggetto il settore automobilistico. Abbiamo dissipato una buona parte della ricchezza costruita negli anni, con i soldi degli italiani, rappresentata anche da alcune grandi reti strategiche, quali quelle delle autostrade e della telefonia.

L’Alitalia e la Rai, al contrario, dimostrano come l’eccesiva invadenza della politica finisca per distruggere aziende un tempo considerate degli autentici gioielli. Un fenomeno, quello delle svendite compiacenti ai privati,  fa il paio con il suo opposto: cioè, l’incombenza della partitocrazia e degli apparati burocratici che può essere limitata solamente se, lo ripeto, con gli adeguati meccanismi gestionali, il capitale torni ad essere davvero “ pubblico”, cioè  nelle mani di cittadini e famiglie. Una riflessione  che non può non coinvolgere anche la pletora di società municipalizzate o miste,  in molti casi, sull’orlo del fallimento.

I risultati della vecchia politica sono di fronte agli occhi di tutti: servizi al di sotto degli standard europei, costi superiori a quelli europei.

Anche da alcune eccezioni  vengono delle riflessioni: la privatizzazione dei trasporti nel  Regno Unito decisa da Tony Blair ha creato un’enorme aumento dei prezzi a Londra e nel resto del Paese di treni e metropolitane. Perché, forse a qualcuno questa affermazione farà storcere il naso, le privatizzazioni di Blair, a differenza di quelle introdotte dalla signora Thatcher, non hanno significato anche un’autentica liberalizzazione del mercato.

Gentiloni,  Padoan e il Pd di Renzi hanno in mente il modello Blair? Lo dicano con chiarezza senza nascondersi dietro la scusa di un debito pubblico che non hanno saputo arginare neppure loro, perché non hanno avuto il coraggio di intervenire in altre direzioni. A partire dall’alleggerimento di quell’enorme fardello oggi rappresentato dal carico di una sovra struttura politica istituzionale e dell’apparato dello Stato per i cui costi e scarsissima efficienza stiamo sacrificando famiglie, pensionati e giovani.

Questo Governo, quindi, deve fermarsi e lasciare che il prossimo Parlamento apra, se possibile, un’autentica fase di ricostruzione del Paese, di riorganizzazione istituzionale e burocratica e di gestione del patrimonio pubblico.

Giancarlo Infante

 

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