CATTOLICI E POLITICA
Considerazioni di un Vescovo piuttosto controcorrente
Reverendo e caro Direttore don Rizzolo, non posso ovviamente, per motivi di spazio, discutere le singole risposte date da autorevoli rappresentanti dell’episcopato e del laicato alle domande di Famiglia Cristiana del 18 marzo su “cattolici e politica” all’indomani delle recenti elezioni nazionali. Ma poiché esse – le risposte – non mi hanno soddisfatto del tutto, voglia ospitare qualche considerazione al riguardo.
Nessun dubbio sul dato elettorale, che mi pare giudicato da tutti negativo per la presenza politica non tanto dei cattolici in quanto battezzati più o meno praticanti, bensì dei cattolici “associati” o comunque molto convinti ai quali preme (o dovrebbe premere) l’intera dottrina sociale della Chiesa, compresi gli interventi di Papa Francesco. Forse i risultati elettorali sarebbero stati un po’ meno negativi se costoro avessero potuto scegliere, tra gli altri, un rinnovato partito di piena ispirazione cristiana con le carte in regola riguardo al programma e al personale oltre che espressivo di una larga, effettiva e convinta convergenza cattolica. Forse, ripeto. Ma come poteva essere possibile una tale “novità” dopo anni ed anni di non-formazione diffusa e di diaspora predicata e praticata, con i pastori a esortare di continuo all’impegno ma senza riuscire ad ottenere un vero e costante movimento più convergente e unitario?
Ma guardiamo oltre il dato di fatto delle “strade divise” fra cattolici e politica. E chiediamoci: queste strade sono costrette a restare divise “per sempre” o in ogni modo per chissà quanto? Ecco il problema. Pare che per una diffusa vulgata ci sia poco o nulla da fare nel momento, se non insistere a impostare e realizzare vasti e capillari programmi formativi che riescano a far capire al più gran numero di credenti che essi – come hanno ripetuto tutti i Papi e ripete Papa Francesco – devono “immischiarsi in politica”, “fare politica” e anzi politica “grande”. Poi, quando saranno ben formati, faranno politica, da cristiani, dove credono meglio, senza preoccuparsi di avere un partito “cattolico” o comunque un partito di ispirazione cristiana più o meno rappresentativo dei cattolici. Per un partito del genere – dice la diffusa vulgata – ormai non c’è spazio e non è il caso di preoccuparsene troppo.
Io non sono di quest’idea. Mi spiego. Ottima la progettazione e l’attuazione di efficaci “programmi formativi” a una seria vocazione e laicità politica; ma essi intanto dovrebbero essere anche “programmi riaggregativi”, tali cioè da far capire che l’efficacia della presenza e dell’azione – sia di quella apostolica che di quella politica – è legata alla capacità di mettersi insieme, tanto più in una società fortemente secolaristica. I pastori non possono comandare l’unità politica; ma forse possono raccomandare un po’ di motivato buon senso. Il quale, certo, è soprattutto questione di autentica passione – di vero amore cristiano – per il bene comune cristianamente inteso, che è così arduo e così insidiato. Perciò credo che se oggi – anche oggi, in questo ampio deserto – ci sono credenti convinti della verità dell’intero insegnamento sociale della Chiesa e vedono in esso la più grande speranza del mondo, è bene che essi, pochi o molti, senza aspettare gli effetti benefici (non certamente immediati) di un serio progetto formativo, cerchino subito di aggregarsi, si impegnino subito a chiamare altri, a sensibilizzare e ascoltare il più possibile – per rappresentarlo e servirlo – il popolo cristiano, a organizzare convergenze virtuose e rispettose, a tracciare i necessari programmi, a farsi presenti nella società con saggezza e con prudenza coraggiosa. Senza trascurare, in mezzo all’azione, momenti contemplativi ed oranti.
Ma ci sono persone del genere? Mi pare di sì. Ma sono molto poche ancora. Perché non invitarle a “fare cordata” e a diventare, già oggi, una “minoranza significativa”?
In fondo il problema è scuotersi da una sorte di paresi e, permettetemi di dire, il problema più vero è “cambiare registro mentale”. Una buona dose dell’attuale realismo in versione pessimista sui rapporti tra cattolici e politica è causata da un mix ideologico diffuso tra noi e composto da venature semilaicistiche e individualistiche e da eccessive paure di nuovi (del tutto improbabili) temporalismi cattolici. Sembra quasi che siamo di fronte, con questa diffusa vulgata, a un nuovo “non expedit” (mi si permetta una reminiscenza della storia cattolica dell’800 italiano), a un nuovo “non è bene” e “non conviene” far politica insieme, da cattolici.
Io la penso diversamente. Liberi quanti preferiscono partecipare alla vita politica in questo o in quell’altro partito “laico”, cercando, se ci riescono, di essere cristiani coerenti al suo interno, e liberi altrettanto quanti, al contrario, ritengono più utile ed efficace impegnarsi e lottare per la difesa e lo sviluppo “di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”, ossia per “l’umanesimo plenario” (sacrosante parole di Paolo VI), attraverso “una libera unione politica di cattolici” (come scriveva Raffaele Reina sul sito di Formiche del 18 dicembre 2017). All’insegna di una democrazia coniugata con i nostri grandi ideali sociali di matrice e linfa evangelica.
Credo che questo sia un impegno da incoraggiare. Esso, anzi, gioverà agli stessi cattolici operanti nei vari partiti a ideologia plurale e favorirà l’attuazione della stessa opera di formazione sociale nelle nostre comunità.
+ Gastone Simoni