L’acceso dibattito sulla legge dello “ Ius soli” ha riportato in primo piano il tema, peraltro mai sopito, della presenza della cultura islamica in Occidente e, più in generale, della progressiva ed apparentemente inarrestabile islamizzazione dell’Italia e dell’Europa.

 

La direzione di Convergenza Cristiana 3.0 ritiene atto doveroso, prima che opportuno, approfondire l’argomento, le questioni connesse e le vistose implicazioni politiche, economiche e sociali da esse indotte.

Lo facciamo rendendo pubblico, con il consenso degli autori, il carteggio intercorso tra il curatore del nostro sito web www.convergenzacristiana.it , Giancarlo Infante, e padre Giovanni Cavalcoli.

Carteggio originato dall’importante ed amplissimo articolo scritto dal grande teologo dogmatico domenicano sulla rivista telematica “ Isola di Patmos” di cui rinviamo al testo integrale ( CLICCA  QUA ).

Un dato chiaro rimane alla fine della lettura delle profonde e meditate riflessioni suscitate dai testi:  l’Islam e l’apparente inarrestabile islamizzazione dell’Italia e dell’Europa  possono essere debitamente e correttamente contenute, ed ordinatamente assorbite dall’Occidente, solo e alla condizione che esso sappia tornare alle proprie radici cristiane riconquistando l’identità e,  dunque, la forza e lo spessore culturale che gli sono a lui propri.

Se questo è vero, ed è vero!, ecco che allora si torna al punto di partenza, esattamente là dove ha preso le mosse l’iniziativa di Convergenza Cristiana 3.0: occorre riunire tutte le realtà cattoliche operanti nel sociale e dare ad esse forza e voce e, dunque, identità e spessore culturale, cioè progettualità politica.

Un partito di forte e solide radici cristiane, dai chiari connotati politici, riferibili con certa evidenza alla Dottrina Sociale della Chiesa; un partito certamente laico, aperto al dialogo ed al confronto, pluralista e con certezza aconfessionale.

Ma con non minore certezza “ cattolico”, per usare un termine che si rinviene con piacevole sorpresa negli articoli e nelle lettere di padre Cavalcoli. Termine questo che però va ben declinato dopo la insuperata ed insuperabile, e per vero neanche dimenticata lezione di Luigi Sturzo sulla natura aconfessionale e laica del Partito Popolare Italiano.

Si tratta di termine dolorosamente pertinente alla situazione che ci è dato vivere in questi tempi di scristianizzazione profonda e radicale e di paganesimo culturale e politico dilagante. Tempi nei quali si è voluto dolosamente e scientemente eliminare Dio dall’Orizzonte politico, esattamente come il crocefisso dalle aule di scuola.

Il quadro culturale e politico del 1919 è radicalmente differente e diverso rispetto a quello che si profila per il 2017 e crediamo in coscienza che si debba ringraziare padre Cavalcoli e quanti altri tratteggiano il nuovo partito che il mondo cattolico ed i suoi pensatori desiderano per l’Italia, come riferibile con certa evidenza alla cultura ed alle radici cristiane dell’Italia e dell’Europa.

La sostanza delle valutazioni del teologo domenicano  è che gli islamisti  “ non rappresentano affatto una minoranza composta da «teste calde isolate», o da dei cosiddetti «lupi solitari»,  incapaci di capire che l’Islam sarebbe in verità una religione di pace e di amore, ma sono invece il prodotto di una precisa lettura del Corano”, animata dal progetto di raggiungere una “ totale sopraffazione della Cristianità e della cultura del morente Occidente europeo”.

Per padre Cavalcoli  quella musulmana non è affato una religione di pace “ al contrario, egli sostiene, l’Islam è una religione bellicosa, violenta ed intollerante. La misericordia vale solo per i fedeli, non per gli infedeli”.

Perché gli attentati per opera degli islamisti radicali avvengono soprattutto in Europa? Questo è quel che si chiede il domenicano. La risposta è istantanea: “ perché l’ Europa è il centro del Cristianesimo”.

Così, sostiene il padre domenicano “ L’Islam sta mettendo in atto da decenni una nuova tattica morbida e non apparente, ma sistematica e continua, di graduale penetrazione in Europa, non più quindi scopertamente e bellicosamente per mezzo delle truppe, ma per mezzo della propaganda culturale, della ricchezza petrolifera e del movimento migratorio dai Paesi musulmani, nascondendosi abilmente nel più vasto e drammatico pluriforme movimento migratorio proveniente da altri Paesi e diversamente motivato”.

“ Diciamo allora, scrive padre Cavalcoli, che l’accoglienza degli islamici dev’essere organizzata così da consentire ad essi di vivere la loro religione e praticare i loro costumi, ma devono al contempo sottostare alle leggi dello Stato che li accoglie, rinunciando ad usi o norme che siano con esse incompatibili. Lo Stato deve vigilare a che non si diffondano tendenze sovvertitrici o aggressive o che strumentalizzino la libertà religiosa ai danni delle istituzioni democratiche e “nel contempo bisogna che la Chiesa ― per esempio in uno o più sinodi mondiali dei vescovi ―, organizzi in modo scientifico e sistematico, a lungo termine, una pastorale evangelizzatrice articolata, per settori, inculturante  e mirata, adatta alle condizioni ed alla situazione dei musulmani, nonché soprattutto alle loro capacità o disponibilità ad aprirsi alla luce del Vangelo. Insomma: il dialogo dev’essere finalizzato alla missione ed alla evangelizzazione”.

Sull’articolo di padre Cavalcoli pubblicato sull’Isola di Patmos, Giancarlo Infante è così intervenuto:

Reverendissimo padre Cavalcoli,

ho letto con molto interesse le  Sue considerazioni sull’Islam.

Molto forti, mi hanno portato a fare alcune riflessioni che, anche su invito dell’amico Emilio Persichetti, con cui abbiamo dato vita a Convergenza Cristiana, e che ci legge in copia, mi permetto di trasmetterLe.

Non entro specificatamente nel merito delle sue disamine teologiche, non avendo io la preparazione adeguata in materia. Mi occupo di storia e di politica e a questi due ambiti vorrei attenermi.

Anche alla luce dei miei antichi studi universitari, risaliamo ad oltre 40 anni fa, e agli approfondimenti cui sono stato fortunatamente costretto dalla mia attività di giornalista, sono sollecitato ad intervenire su diversi piani di riflessione.

In particolare, sugli  aspetti della cronaca e dell’attualità politica, visto che il tema  è diventato drammaticamente urgente alla luce dell’incontenibile fenomeno dell’immigrazione il quale, se  non concerne solamente islamici, ne riguarda una discreta parte.

–          Intanto,  parto dalla terminologia

Islam o gli Islam? Ho imparato molto presto, soprattutto nel corso dei miei viaggi in paesi musulmani, o in quelli con presenza di forti minoranze di seguaci di Maometto, segnatamente Regno Unito e Francia,  come esistano tante realtà diverse in quel complesso e variegato mondo che definiamo islamico. Persino,  violentemente contrapposte tra di loro.

Siamo dinanzi a quella che Fernand  Braudel definiva “ L’area geografica dell’Islam”,  che corre dal Mediterraneo all’Indonesia e, in modo non molto dissimile da quanto accade tra i cristiani, a profonde differenze teologiche, storiche, economiche  e geopolitiche in grado di spiegare i duri scontri che hanno diviso, e stanno dividendo sanguinosamente, il mondo oggetto della Sua disamina.

Se non ricordo male, solo tra i filoni principali, questa realtà consta di almeno una decina di gruppi, più una infinità di sette ed etnie specifiche, ancorché limitate territorialmente.

Franco Cardini nel suo “ Europa e Islam- Storia di un malinteso”, ed Laterza, così, parla, con maggior proprietà di linguaggio, di “ pluralità di Islam”.

Sempre per rimanere alla terminologia correntemente da noi usata, dobbiamo sgombrare il campo da definizioni come “  islam moderato” o, come giustamente è sottolineato nel  Suo intervento, quello del Jihad.

L’uso delle parole, mi riferisco soprattutto a quelle dei grandi organi d’informazione, o degli esperti, è sempre mosso da  precisi interessi culturali, economici, politici e sociali.

Così,  a proposito del termine “ moderato”,  abbiamo accreditato in maniera fuorviante il ruolo e l’attività dell’Arabia Saudita, o del Qatar, principali finanziatori delle scuole coraniche da cui sono usciti imam sostenitori della “ Guerra santa”,  guerra “ vera”, e migliaia di terroristi.

Ai  gruppi dirigenti dei paesi occidentali, ciò era funzionale  al  controllo di una delle principali aree da cui si estrae il petrolio e di una vitale via di scambi e di commerci internazionali. In questa prospettiva, abbiamo raccontato  le drammatiche vicende degli ultimi sessant’anni  inventando di sana pianta le astruserie più colossali.

In questo ambito, comunque, ritengo  che debba essere seguito con attenzione il confronto in atto nel mondo arabo che ha, purtroppo,  anche risvolti di guerra, vedi cosa sta accadendo tra i diversi gruppi ostili al governo di Damasco di Bashar al Assad, nello Yemen, tra Turchia e curdi.

La nuova linea dell’attuale re dell’Arabia Saudita, già in parte aveva iniziato il suo immediato predecessore, con la violenta polemica di questi giorni  con il Qatar, sta costringendo, per primi i musulmani,  al confronto su chi siano stati i “ grandi vecchi” del terrorismo islamista.

Ovviamente, adesso siamo ancora al rimprovero reciproco su chi porti  la “ colpa”, prima, di aver cresciuto e sostenuto  Osama bin Laden e,  poi,  l’Isis.

Speriamo solo che l’intervento “ pacificatore” americano e degli altri occidentali, originato esclusivamente dal timore di una rottura irreparabile all’interno del gruppo dei paesi arabi alleati del Golfo,  non interrompa un processo di chiarimento da auspicare, invece, profondo e capace di andare  fino in fondo.

Questa rottura, in realtà, è stata già vissuta negli ultimi quattro anni sui campi di battaglia insanguinati della Siria dove i gruppi contrapposti, quelli finanziati da Riad, e quelli che hanno ricevuto soldi ed armi da Qatar e Turchia, non hanno esitato,  fino all’intervento russo,  a spararsi tra di loro mentre combattevano  contro Bashar al Assad.

E’ anche grazie a questa situazione se l’Isis, fuoriuscito dal fronte dei combattenti islamisti ostili al governo di Damasco,  è stato in grado di occupare ampie zone della Siria e, in parte, dell’Iraq nell’indifferenza nostra generale e sulla base del nostro plauso acritico verso le cosiddette “ primavere” arabe, in cui confluivano  cose molto diverse tra di loro. Sorvolo sulle armi  e finanziamenti assicurati per anni al Califfato in formazione.

–          Il  piano politico- militare

Anche qua  si evidenziano  le differenze di questa “ pluralità” e pure su questo dobbiamo tornare, almeno in parte, agli interessi economici e politici di casa nostra.  E’ impressionante la mole di armamenti che stiamo inviando a tutti i paesi del Golfo in queste settimane. Non la tedio con le cifre e le tipologie di commesse per strumenti di guerra terra, cielo, mare.

Sotto il profilo storico, riassumo per titoli, e a memoria.

Ci sono state le vicende che hanno interessato il versante sunnita: ostilità assoluta anglo- franco- americana- israeliana verso i gruppi “ nazionalisti “ arabi: quelli di Nasser, il partito Ba’th e  quello Baas in Iraq e Siria, Gheddafi in Libia.

Movimenti, basati su una tradizione socialista pan araba, risalente agli inizi del ‘900, con una forte spinta  verso la “ modernizzazione”. Contrastati da re e sceicchi del Golfo i quali vedevano messo in discussione il loro potere feudale.

Questo fenomeno, già  definito a suo tempo “ rivoluzioni arabe”, richiamò immediatamente l’ostilità delle compagnie petrolifere occidentali perché di ispirazione socialista e animato da convinti sostenitori della nazionalizzazione di petrolio e  Canale di Suez. Espressione soprattutto dell’apparato militare formato nelle accademie europee. Per la marineria, fondamentale il ruolo dell’Accademia Navale di Livorno, soprattutto per l’Iran, ma non solo.

In Egitto, Nasser, e il ben più credente musulmano Saddat, ma comunque suo fedele collaboratore, fu oggetto di una dura lotta da parte dei Fratelli Musulmani, allora finanziati dall’Arabia Saudita.

Come Lei sa, la Fratellanza costituisce un  movimento popolare che ha la propria forza nell’attività caritatevole e di soccorso. A questi Fratelli musulmani, fanno oggi riferimento larghe masse egiziane, Erdogan in Turchia e Hamas, nella Striscia di  Gaza. Il dissidio tra Arabia Saudita e Qatar è frutto del sostegno assicurato dai qatarioti ai Fratelli musulmani

Allora, contro Nasser, andava bene. Negli ultimi decenni, no! Questo spiega  in Egitto il recente colpo di stato contro l’eletto presidente Morsi, leader politico della Fratellanza,  e il  bagno di sangue consumato a seguito dell’intervento dei militari del Cairo, oggi costretti a barcamenarsi tra i finanziatori Sauditi, Usa e Russia.

Un discorso a parte meriterebbero le vicende del Pakistan e dell’Afghanistan, ma rischio di annoiarLa troppo, sicuramente scrivendo cose da Lei ben conosciute e che riguardano zone dove l’Islam ha vissuto altre vicende storiche e presenta differenti  coloriture.

Sul versante sciita, basta ricordare la vicenda di Mohammad Mosadeq, nazionalista persiano finito impiccato per aver osato nazionalizzare la  Anglo- Iranian Oil Company ed estromesso momentaneamente  lo Scià.

–          Le “ vittime”

Secondo i recenti dati del “ Global Terrorism Database”  gestito dall’Università del Maryland, l’Europa occidentale ha subito meno dell’ 1 per cento delle 34.676 persone uccise a seguito di attacchi terroristici nel 2016, e solo il 2% per cento degli attentati (269 su un totale di 13.488 attentati e  238 su 34.676 vittime). Al contrario, gli attentati  hanno ucciso 19.121 persone nel Nord Africa e nel Medio Oriente, pari al  55% del totale. In Asia meridionale, il Pakistan è stato il paese più colpito, con più di 1.100 persone uccise, mentre nell’Africa sub-sahariana gli attacchi sono stati concentrati principalmente in Nigeria e in Somalia. Parliamo, scusi la sottolineatura, solamente delle cifre dell’anno passato,

Giustamente, noi guardiamo alle cose di casa nostra! E il fenomeno ci appare insostenibile. E’ insostenibile! Ma le cifre raccontano drammaticamente altro e facciamo male a non tenerlo in adeguata considerazione.

Ciò dovrebbe riportarci  alla riflessione sulle vere cause e le dinamiche del terrorismo islamista mentre sono richiamate, inevitabilmente, pure nostre responsabilità storiche cui sarebbe sbagliato non rimandare la memoria. Non tanto per una disamina sterile sul passato, bensì per un’analisi completa  ed una “ organizzazione”  culturale, e non solo, necessarie per l’oggi ed il domani.

Va da sé che la “ globalizzazione”, fenomeno ineludibile, si porta dietro tante cose, compreso l’allargamento della forbice tra ricchi e poveri, la tendenza all’omologazione di culture e stili di vita cui ampie sacche, non solo fatte da poveri, reagiscono anche in maniera radicale e distorcendo la realtà e le sue prospettive. Noi europei abbiamo avuto il luddismo, agli inizi della Rivoluzione industriale, il terrorismo anarchico e quello brigatista,  e non dovremmo proprio meravigliarci.

Mi chiedo se le raccapriccianti cifre sopra menzionate non debbano portarci a livello internazionale ad una più efficace considerazione  e trovare i rimedi adeguati i quali, certo, non possono limitarsi ai bombardamenti “ mirati” e all’uso dei droni, sulla base di una decantata  lotta al terrorismo che dovrebbe rassicurarci, ma non mette a riparo noi stessi ed i nostri cari.  La fine di questa vicenda non può che essere trovata grazie ad autentico accordo tra i soggetti attivi di questa carneficina,  sulla base di un reale impegno a livello internazionale.

Il primo passo da compiere è quello della conoscenza del problema e l’adeguata comunicazione. A partire da quella che fanno i politici di ogni parte dei cinque continenti.

Resta, in ogni caso, comprensibile la reazione della nostra pubblica opinione dinanzi a fatti di sangue per noi inconcepibili ed inaccettabili. Resta un clamore mediatico che ferisce e disorienta. Con tutto ciò una classe politica adeguata  e i comunicatori dovrebbero  sapere fare i conti in maniera più conseguente.

–          Emigrazione/immigrazione

Fenomeno antico come la nostra specie, in atto già prima del ciclo del Cammino umano che noi definiamo  Storia.  Nessun popolo come quello italiano, perché anche la diaspora ebraica, quella armena e quella irlandese, sono state più limitate, lo conosce bene  giacché  oggi nel mondo, c’è un’altra Italia intera.

Secondo alcuni studi vi sono all’estero circa 60 milioni di discendenti  di italiani. A questi vanno aggiunti  i circa cinque milioni di espatriati, presenti nelle liste Aire al 2016, con una crescita del 3,7% rispetto all’anno precedente, circa 175 mila unità. L’Aire, in realtà, non raccoglie tutti i nostri connazionali che, per un periodo più o meno lungo, si spostano all’estero, soprattutto per lavoro.

Diffondere radio, televisori, internet, tablet e telefonini , quasi tutta produzione occidentale, adesso   anche asiatica, fa conoscere in maniera diretta e dirompente a miliardi di persone che esiste un’altra possibilità di vita. Il nuovo sistema della comunicazione mondiale rende noto che c’è la libertà, che c’è il lavoro. Dove? Nei paesi ricchi. Gli stessi le cui multinazionali, soprattutto in Africa,  hanno solamente fatto, e stanno ancora facendo,  da “ rapinatori” di risorse ed opportunità, sfruttando a piene mani sottosviluppo e corruzione.

Gli immigrati per cause di guerra sono sempre stati una minoranza fino alla crisi degli ultimi anni, quando alle persone disagiate si sono dovute aggiungere anche ricchi e componenti la classe media. Ad esempio quelli della Siria, dove al momento si calcola esserci nove milioni di sfollati, di cui circa quattro al di là delle frontiere.  La metà degli abitanti del paese che,  prima dei 400 mila morti causati dalla guerra in corso, erano poco più di 18 milioni. Tutta gente che spera, invece, di tornare al più presto a casa propria , alle proprie abitudini, alle proprie comunità.

Con la consueta lungimiranza della Chiesa, Papa Giovanni Paolo II,  nella  Laborem Exercens   del 14 settembre 1981, parlò dei cosiddetti “ migranti economici” definendo il fenomeno, in realtà, “ emigrazione per lavoro” e parlando di esso come “  male necessario”.

Ovviamente,  Papa Giovanni Paolo II aveva ben presente quanto  scritto,  14 anni prima, dal predecessore Paolo VI,  nella “ Populorum Progressio”,  a proposito di  “squilibrio crescente” ed “ urti di civiltà”. Da non intendersi, beninteso, solo per quanto riguarda le disparità tra i diversi popoli, pur attanagliandosi perfettamente alla questione delle migrazioni.

Chi ha ascoltato? Chi, soprattutto, ha operato?  Inizialmente,  una risposta concreta venne dall’incremento degli aiuti ai cosiddetti paesi in via di sviluppo. L’Italia costruì la Cooperazione allo sviluppo di cui ho avuto la fortuna di vedere degli effetti positivi soprattutto in Etiopia e in Somalia negli anni ‘80. Poi? Tutto distrutto ed abbandonato. Ed oggi è facile dire: aiutiamoli a casa loro. Non sapendo neppure di che cosa stiamo parlando e di tutte le occasioni perdute nell’arco degli ultimi trent’anni , nel corso dei quali abbiamo preferito occuparci d’altro.

Eppure, delle soluzioni sono percorribili. La tanto criticata signora Merkel ha dimostrato che il ragionamento e scelte oculate possono dominare la paura e farsi comprendere. Mi riferisco alla decisione di accogliere,  nonostante tutto, nel pieno della crisi nata con l’apertura della cosiddetta “rotta balcanica degli immigrati”, un milione di siriani, utili all’economia tedesca.

L’Italia, mi chiedo, non potrebbe fare altrettanto con gli etiopi, gli eritrei, i somali, con i cui padri e nonni avevamo stabilito solidi collegamenti?

Una goccia nel mare. Me ne rendo conto. Ma questo potrebbe fare parte di un più ampio e concreto  progetto in cui l’Unione europea potrebbe coinvolgere i suoi componenti e limitare danni e problemi. Francia, Belgio, Germania, Portogallo hanno avuto le loro colonie e continuano ad avere legami con molti paesi da cui partono immigrati.

–          “ Colonizzazione” islamica

Un effetto possibile in itinere, a mio avviso, più che il frutto di un progetto disegnato a priori. Un potenziale pericolo frutto della nostra ingovernabilità e incapacità di gestire il  fenomeno. In particolare,  il nostro Paese ha  mostrato l’inadeguatezza rispetto a quelli di più consolidata presenza coloniale e giunto in ritardo ad esigere il coinvolgimento delle comunità islamiche presenti, e divise tra di loro.

Nonostante alcune azioni terroristiche, inoltre,  si dovrebbe riflettere più a fondo quando si parla del fallimento dell’integrazione in  paesi come la Francia o il Regno Unito. Bisognerebbe fare una disamina più accurata che vada,  ad esempio,  ad esaminare il rapporto tra presenza dei giovani terroristi e numero dei cittadini di fede islamica, studiare le condizioni delle periferie e quelle del resto del singolo paese. Insomma, i titoli di giornale non sempre offrono un ragionamento degno di questo nome.

E’ vero, invece, che in Italia non abbiamo per tempo affrontato il problema dei luoghi di culto islamici, di chi li dirigeva e chi li frequentava.  Una male interpretata, ma indispensabile, cultura dell’accoglienza ha fatto il resto.

A questo si risponde con le cose già indicate da Lei nel Suo intervento, e queste le  condivido pienamente. Ma ciò presuppone anche adeguate strutture scolastiche, formazione dei docenti che non possono ritenere che l’accoglienza si riduca a coprire il crocifisso presente nelle aule e a derubricare la nostra storia, la nostra cultura ed una diffusa, consolidata  sensibilità anche da parte di non frequentatori di chiese.

Ai bambini musulmani, nel pieno rispetto della loro religione e delle tradizioni delle loro famiglie,  va insegnato ben altro. Così come ai più grandi. Per fare ciò, però, è necessario un impegno organico e programmato. Due gravi carenze storiche e  congenite di noi italiani su vari, troppi fronti.

Reverendissimo Padre, mi fermo. Le chiedo perdono per l’aver abusato del Suo tempo e della Sua pazienza. Spero che questo non le faccia remora, se posso osare chiederlo, di ricordare me ed i miei cari nelle Sue preghiere.

Un saluto cordiale

Giancarlo Infante                                                         Roma,           20 settembre 2017

 

 

Padre Cavalcoli ha così risposto a Giancarlo Infante:

“ Caro Giancarlo,

La ringrazio molto per l’interessante ed utile sintesi e disamina storica dei rapporti politico-economici dell’Islam con l’Europa.

Credo che nei confronti dell’Islam il partito cattolico abbia un importante ed anzi insostituibile ruolo da svolgere. Occorre infatti che la politica partitica e statale, su questo tema gravissimo, proceda di concerto e in collaborazione con la S.Sede, perché in questa enorme questione epocale è evidente lo stretto legame tra politica e religione.
E chi, più del partito cattolico, in tutto l’arco costituzionale, è maggiormente qualificato a svolgere questo ruolo di mediazione e quindi  essere all’avanguardia di una saggia politica per il bene dell’Italia e dell’Europa, nonché per il bene dello stesso del mondo islamico? Qui il partito trova una chance formidabile di credibilità e di autorevolezza.

I contrasti interni al mondo islamico sono certamente dovuti a conflitti di potere, a particolarismi nazionali, a fanatismi e settarismi, ad interessi economici e a divergenze politiche, che sfociano addirittura in conflitti armati.
Ma più in profondità dipendono, come ho mostrato nel mio articolo, da una concezione contraddittoria di Dio insita nello stesso Corano: un Dio provvidente ma nel contempo fatalistico; liberatore ma anche tirannico; tollerante ma anche dispotico; pietoso e ad un tempo crudele; ragionevole ma anche irrazionale; affidabile e nel contempo infido; buono ma anche terrorizzante.

Da qui nasce un Islam pacifico, ragionevole e moderato (Bergoglio), ma anche un Islam fanatico, bellicoso, violento e assassino (Magdi Allam), a seconda di quell’aspetto di  Dio che si assume, se il primo o il secondo. Ma il Corano non giustifica il suicidio terroristico (ISIS). Per il Corano autentico, è un'”eresia”.

Ma nell’Islam, alla già grave contraddittorietà della sua concezione di Dio, si aggiunge un’altra grave difficoltà: che nell’Islam non esiste un magistero centrale unico dottrinale, come da noi, che dirime infallibilmente e definitivamente le controversie dottrinali e morali, distinguendo i valori essenziali da quelli facoltativi e la verità dall’errore.

A Maometto certamente è succeduta, fino ad oggi, una serie di capi religiosi – per esempio il Re del Marocco si vanta di essere un discendente del Profeta -; ma sin dagli inizi scoppiò la divisione tra gli sciiti e i sunniti tuttora irrisolta.

Da qui i contrasti nell’interpretazione del Corano: un conto è la tradizione meccana, ritualista e pietista; un conto è la scuola ascetica di Teheran, austera e rigorista, influenzata dal manicheismo; un conto è la tradizione gnostica, mistica ed esoterica sufi; un conto è l’lslamismo dell’Università egiziana di Al-Azar, umanista, politicizzante  e dialogante, influenzata dalla cultura greca (Alessandria).

Negli emirati arabi c’è l’islamismo più rozzo, egoista e attaccato ai piaceri e alle ricchezze. In Palestina c’è un islamismo socialista antiebraico ed eterodosso (Arafat). L’immigrazione islamica in Europa è organizzata dall’ISIS. E’ un islamismo fondamentalista, feroce e medievale che sogna di prendere Roma, così come nel sec.XV ha conquistato Costantinopoli. Sono completamente fuori della storia.

Per quanto concerne in particolare il problema politico, è noto come l’Islam fa resistenza ad accogliere il sistema democratico. Perché? Fondamentalmente per motivi antropologici.

Per il Corano l’uomo coincide col fedele. Per questo l’infedele non è un uomo e può essere ucciso, anche privatamente. Da questa concezione fideistica dell’uomo nasce il modo col quale il Corano concepisce la ragione umana.

Nel Corano la ragione non è negata, ne disprezzata – la cultura islamica ha avuto nel Medioevo dei grandi metafisici, scienziati, astronomi e matematici -, ma vale solo se è esercitata dal fedele o serve alla fede. Per il Corano non ha senso un’attività razionale autonoma per fini puramente umani, quindi politici indipendentemente dalla fede e dalle finalità coraniche.

Noi cristiani, invece, pur sostenendo anche noi la superiorità della fede sulla ragione, ammettiamo che gli uomini possono collegarsi tra di loro sulla base della semplice ragione e di valori e fini puramente razionali, quali quelli del bene comune e dello Stato.

Per questo ammettiamo il valore della laicità e la possibilità, in politica, di una collaborazione su di un piano di uguaglianza e di pari diritti, fra credenti e non-credenti, sulla base della semplice ragion pratica e riconosciamo la democrazia come autogoverno del popolo per il popolo da parte del popolo.

Ma nell’Islam l’unica comunità riconosciuta è la Umma, corrispondente alla nostra Chiesa, ossia una comunità prettamente religiosa, che però funge anche da società politica.

Compito urgente allora dell’Occidente, sul piano della politica, con alla testa i cattolici che distinguono ea quae sunt Caesaris da ea quae sunt Dei, è qello di trovare il modo di far comprendere al mondo islamico il sommo beneficio della democrazia, come costume e sistema politico ed istituzionale dello Stato, che consente alla comunità religiosa (Chiesa o Umma) di vedere riconosciuti i suoi diritti civili e nel contempo la possibilità di espandersi in libertà nel perseguimento dei fini che trascendono il bene temporale e dello Stato, ossia l’ordinamento e  organizzazione del culto divino, nonché di orientare e guidare i rispettivi credenti alla beatitudine celeste ed eterna oltre la morte.

 

P.Giovanni                                                                   Varazze, 22 settembre 2017

 

 

Successivamente a questo scambio di messaggi, la tv ufficiale saudita nella sua versione in inglese, Al Arabiya English, ha dato un ampio rilievo all’intervento delI’ Imam della Moschea di Roma, il tempio islamico più grande d’Europa, Salah Ramadan El-Sayed  (  CLICCA QUA ).

L’esponente religioso sunnita ha sostenuto che “ l’estremismo ed  il terrorismo sono mali politici che non hanno niente a che fare con la religione”. Egli ha  sottolineato  come “ l’integrazione della nuova generazione di immigrati in Italia è considerata parte integrante della lotta al terrorismo, rafforzando la pace sociale e attuando politiche economiche per combattere la povertà”. A suo avviso gli “Imam dovrebbero facilitare l’integrazione di una nuova generazione di immigrati della comunità islamica” a partire dal fare i sermoni sia in arabo, sia in italiano. Inoltre, secondo Elsayed,  gli Imam dovrebbero  facilitare l’integrazione anche sostenendo il dialogo, le conferenze e gli incontri tra musulmani e non musulmani.

Un intervento che segue la firma del  “Patto Nazionale per un Islam italiano” ( CLICCA QUA )

sottoscritto da nove sigle (Cii., Uami, Ass. Pakistana “Muhammadiah”, Cici, Ass. Cheikh, Ahmadou Bamba, Ucoii, Ass.madri e bimbi somali, Coreis, Ass. Imam e guide religiose) rappresentanti di circa il 70% dei musulmani presenti oggi in Italia. Vale la pena di sottolineare che la presenza tra i firmatari dell’Ucoi, notoriamente vicina al Qatar, sta a significare una convergenza sul Patto delle principali componenti delle forze guida del movimento sunnita.

Ciò precisato, viene spontaneo considerare che siamo di fronte ad un primo passo cui dovrebbero seguirne altri destinati a portare, con forza, verso un autentico processo di “ acculturamento” dei singoli islamici, a partire dai più giovani, e delle loro comunità.

Ci riferiamo in estrema sintesi alla necessità, ad esempio, di contrastare la tendenza in atto di ritirare dalle scuole le bambine musulmane dopo una certa età, violando così in molti casi l’obbligo scolastico, e a quella di organizzare, nelle scuole pubbliche e fuori di esse, corsi specifici sulla Costituzione italiana, la storia e le tradizioni del mondo italiano ed europeo da destinare specificamente alle giovani ed ai giovani provenienti da altri paesi e, comunque, facenti parte di altre comunità straniere.

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