L’Ilva è venduta. La notizia giunge dopo una settimana di annunci sul licenziamento di cinque sei mila dipendenti delle acciaierie di Taranto. Un dramma per una realtà che già soffre una grave crisi occupazionale, all’interno di un quadro ambientale drammatico.
“ A Taranto c’è bisogno di un piano integrato ed integrale di sviluppo sostenibile e di un cambio di mentalità, anche superando la cultura del rancore e dell’assistenzialismo” ci dice Domenico Amalfitano, ex parlamentare ed ex sottosegretario, Presidente del Centro di cultura per lo sviluppo del territorio Giuseppe Lazzati”, nato quasi in contemporanea, nel 1972, con la realizzazione delle acciaierie, proprio per seguire l’industrializzazione del territorio e seguirne i relativi sviluppi.
Parliamo con Amalfitano della vicenda Ilva che richiama tanti problemi sulla industrializzazione del nostro Paese, sul ruolo dell’impresa, sullo Stato e l’attenzione al territorio.
D) Dunque ci siamo, dopo l’inquinamento e il dramma ambientale si profila una grave crisi occupazionale che è anche sociale e culturale. Qual è il contesto in cui una situazione simile si colloca.
“ Assistiamo ad una grande mobilitazione e partecipazione, in particolare da parte del sindacato. Cosa logica e, ovviamente, dovuta. Credo però che sia necessario introdurre dei chiarimenti. Nel senso che se era scontato il fatto di dover andare verso una ripresa dell’industria siderurgica con la cosiddetta “ ambientalizzazione”, era altrettanto scontato che ci saremmo trovati di fronte ad un restringimento dell’occupazione. Così come ad una riduzione della produzione che non può andare oltre i cinque sei milioni di tonnellate realizzate all’anno. Il vero problema è che in un territorio come quello di Taranto c’è bisogno di un progetto integrale di sviluppo sostenibile”.
D) facendo cosa?
“ L’azienda deve tornare ad essere un punto forte, ma in un contesto più ampio grazie all’adeguamento verso uno sviluppo capace di andare oltre un solo livello di mantenimento dei livelli occupazionali assicurando un aumento del livello di occupazione. Visti gli attuali tassi di disoccupazione è concreto il rischio di continuare con un andamento demografico negativo. I demografi, a suo tempo, al momento della nascita dell’Italsider, avevano previsto una città di 400 mila abitanti. Ad oggi, siamo invece poco sopra i 200 mila. Per il 2050, continuando con questa situazione, si arriverebbe a soli 50 mila. La conferma, dunque, che l’Ilva resta un punto forte, ma non può più essere il solo”.
D) Soluzioni?
“ Nel corso del nostro recente Festival dello Sviluppo sostenibile, di fine maggio, è emersa la necessità di avviare quella che potremmo definire una “ economia circolare” che metta in campo tutto ciò che riguarda le sottoproduzioni e l’utilizzazione degli scarti, dei rifiuti e delle materie inquinanti che, si badi bene, non sono solo frutto della presenza dell’Ilva, bensì anche di altri insediamenti presenti a Taranto. “ Economia circolare “ significa trasformare scarti e rifiuti in risorse produttive”.
D) Ad esempio?
“ Il Dipartimento dell’Università di Bari- Taranto, con il Politecnico di Bari, stanno studiando proprio questi aspetti. Ad esempio, i vapori dell’acciaieria, che sono inquinanti, potrebbero, grazie al teleriscaldamento, diventare una ricchezza per tutta la città. Tutto ciò ha bisogno di una pluralità d’interventi sulla base di un cambio di mentalità. I posti di lavoro non possono più essere visti come un frutto dell’assistenzialismo statale. Papa Francesco, a Genova, ha appena parlato di lavoro e di dignità del lavoro il quale, quindi, non può essere sostituito dagli ammortizzatori sociali. Voglio aggiungere che dobbiamo superare la visione delle “ due mani”, cioè Stato e mercato, per guardare sempre più alle “ quattro mani”: Stato, mercato, ma anche società civile ed imprenditoria. In questo senso pure la sussidiarietà diventa “ circolare” perché crea le condizioni vere per uno sviluppo reale e sostenibile. Siamo di fronte ad una crisi della capacità di governare e di essere in rete, oltre che di fronte alla necessità di superare l’individualismo e la separatezza dei saperi. L’impresa, dunque, deve rimanere strategica in una dimensione nazionale, assicurandosi la capacità di restare nel mercato creando, però, le condizioni affinché la sua presenza non significhi un sacrificio per il territorio, seguendo non una logica predatoria, bensì valida in termini di imprenditorialità. Un dirigente dell’Ilva mi definiva l’Ilva qualche giorno fa come un colabrodo con decine di milioni persi quotidianamente”.
D) Tutta la vicenda Ilva fa riflettere sul ruolo di un’impresa nella società moderna ….
“ E’ indubbio che un’impresa debba essere in grado di affrontare il mercato. A fronte di ciò è necessario assicurare il lavoro ai cinque, sei mila lavoratori che finiranno in esubero. Io dico, però, che dobbiamo trovare ancora più posti di lavoro. Le attività di bonifica potrebbero assorbire il differenziale, ma questo non sarebbe soddisfacente in maniera piena perché si tratta pur sempre di un progetto provvisorio. La vera riflessione deve riguardare, allora, il rapporto tra impresa e territorio. Quello di Taranto non può vivere di “ ospedalizzazione” e basta a causa delle condizioni ambientali create dall’inquinamento”.
D ) Ancora una volta, però, come nel caso dell’Alitalia, siamo costretti ad affrontare i problemi sotto l’aspetto dell’emergenza, nonostante anche di Ilva se ne parli da anni.
“ E’ emergenza perché, anche con l’Ilva, il vero punto della crisi si richiama al modello di sviluppo. A me piacerebbe, oltre che parlare dell’assorbimento dell’esubero, affrontare la questione di come giungere ad un rinnovato mercato nazionale. A ben guardare, prima con l’Italsider, poi con Ilva, si è sempre mancato di creare un indotto per una grande acciaieria come quella di Taranto che resta la più grande d’Europa. Non si tratta di riferirsi ai già citati aspetti dello scarto e dei rifiuti, bensì anche alle eventuali nuove lavorazioni possibili d’indotto, mai organizzate”.
D) Ilva conferma del fatto che dopo il fallimento della mano pubblica constatiamo quello dei privati?
“ Certo perché siamo di fronte ad un complessivo fallimento della “ governance”. Dopo il fallimento del pubblico, si è lasciato l’intervento privato senza un controllo da parte della società civile e dello Stato. L’inadeguatezza del progetto siderurgico è esploso nella fase della guida privata perché questa è stata solo orientata a realizzare il massimo del profitto. La risposta non è quella del ritorno allo Stato imprenditore, bensì con l’intervento dello Stato innovatore. Lo Stato si deve fare carico di un progetto di innovazione assieme al territorio, per attivare non una politica assistenziale, bensì una politica “ premiale”. Significa mettere in grado le imprese che innovano di ricevere quelle agevolazioni che oggi non ci sono. Non si tratta di incentivi, ma di veri e propri premi per il sostegno dell’innovazione. In questo senso vedo una economia “ circolare” come un’economia innovativa”.
D) Le due cordate che sono state in competizione per prendersi l’Ilva hanno dato segnali sul versante dell’innovazione e del rapporto con il territorio?
“ Dobbiamo camminare molto per superare una cultura vecchia che è molto rivendicativa. I lavoratori dicono che, dopo aver pagato il prezzo della salute devono pagare, adesso, quello dei posti di lavoro. In effetti questa combinazione di scambio salute – posto di lavoro non va perché il parametro di riferimento non può essere solamente quello del Pil. Nel caso di Taranto si parla di un’incidenza del Pil pari addirittura al 2 % di quello nazionale. Ma se mancano i servizi e l’impresa vive estraniata dal territorio, da cui è accettata solo per uno stato di necessità, quel 2 % di Pil non risolve l’autentico problema dello viluppo. Io arrivo a dire che un’impresa come l’Ilva dovrebbe andare oltre per contribuire alla felicità della gente”.
D) Pensa che i nuovi proprietà punteranno a questo?
“ Questo non lo so. Certamente avremmo bisogno che passasse questa logica. Sarebbe necessario leggere anche un “ bilancio sociale” preventivo. Finora ho sentito parlare che si pensa a interventi per finanziare lo stadio e la squadra di calcio. Va rigettata la logica di affrontare il territorio con le mance. L’impresa deve rispondere sapendo che non può seguire solo la logica del profitto. Non deve essere solo un’impresa per gli azionisti ed i finanziatori, ma costituire una ricchezza per l’intero territorio”.
D) Si riferisce alla logica sociale dell’impresa?
“ Dobbiamo andare anche oltre perché questo dovrebbe essere scontato. Si tratta di vedere se si vorrà destinare una parte del bilancio, il tre, quattro per cento, ad esempio, per rispondere alle esigenze del territorio di introdurre delle forme di innovazione. Le trattative tra le parti possono costituire un inizio positivo del cammino, soprattutto se condotte alla luce del sole. Va dato il segnale deciso e convincente che, assieme al piano industriale, l’impresa si farà carico anche di un piano sociale. E per questo non basterà la sola impresa”.
D ) In qualche modo la vicenda Ilva può essere emblematica per l’intero Sud?
“ Viene fuori che all’intero Paese manca un piano industriale. E questo sempre più chiaramente mentre la globalizzazione sta affrontando una fase nuova. Dopo quella in cui sembrava che venissero omologati e distrutte le peculiarità locali, emerge una sempre maggiore necessità e capacità di valorizzare i territori e i loro patrimoni e specificità. Sempre più diventa evidente che non si può fare a meno di avere come protagonista il territorio. Taranto, in relazione all’Ilva, ha vissuto la dimensione del salario, mai quella di un autentico coinvolgimento. Sono stati incrementati i beni individuali, si è trascurato di vedere nel rapporto tra impresa e gente il bene comune. L’Ilva ha fatto da capofila per l’arricchimento del Pil nazionale, ma non c’è rimasto molto per Taranto. La ricchezza creata è stata trasferita altrove. La ricchezza creata dai risparmi è stata spostata dalle banche verso altri investimenti realizzati in altre parti del Paese. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, la nuova cultura di cui parlavo prima, assieme ad una nuova capacità di governo, deve nascere pressoché completamente e non può essere episodica o solamente basata sulla straordinarietà delle situazioni. Questa nuova cultura si basa, in primo luogo, sul superamento di quella che ho definito come cultura del rancore, strada lungo cui non possiamo più proseguire”.
D) Mi chiedo, forse un po’ utopisticamente, se anche una vicenda come quella dell’Ilva non possa superare il modello d’intervento seguito durante tutte le numerose crisi che hanno interessato la struttura produttiva ed industriale italiana. Continuiamo con la cassa integrazione, la mobilità, l’assistenzialismo quando si potrebbero studiare nuove forme di recupero dell’impresa, magari affidando le aziende in crisi a chi ci lavora dentro e alle comunità locali, fornendo il necessario sostegno per ristrutturazione e innovazione?
“ Sarebbe auspicabile un cambio di linea, anche se credo che nel caso specifico di un’impresa siderurgica di queste dimensioni è assolutamente necessario tenere conto della partecipazione di lavoratori e dirigenti, ma forse ci vuole qualcosa in più di una struttura aziendale sotto forma cooperativa. Dovremmo tenere presente l’esperienza tedesca capace di coinvolgere i lavoratori. Un contributo può venire anche dalla capacità dell’imprenditoria di saper cogliere il discorso della responsabilità sociale comprendendo che, in questo contesto, i punti di riferimento non possono essere costituiti in modo assoluto dal solo dato economico”.
D) E, infine, la politica?
“ Deve creare le condizioni affinché questa nuova cultura venga incentivata ed accolta come il patrimonio forte portato da una nuova mentalità generale. La Confindustria lancia dei segnali importanti sulle imprese che vogliono farsi carico dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e vedremo la gestione italiana del piano programmatico di questa fondamentale progetto mondiale che richiama alle responsabilità di istituzioni e persone verso il nostro Pianeta”.
Giancarlo Infante