I missili di Trump fanno riflettere ancora una volta sul ruolo dell’Europa e sui mutamenti in atto negli scenari internazionali da cui noi europei sembriamo più che mai assenti.
Portano a chiedersi come dei cristiani attenti alle cose del mondo siano in grado di rispondere a questioni cariche di complessità e contraddittorietà. Sostanzialmente, su tutto resta la domanda di come, oggi, si possa rispondere ai problemi delle più complicate relazioni internazionali e, persino alla violenza, con una scelta di pace.
Il quesito appare persino ovvio all’indomani del bombardamento della base dell’aviazione siriana di al Shayrat da cui Trump rimprovera Damasco di aver fatto decollare i jet con il loro carico di gas letali causa della morte di decine di persone, incluse numerose donne e molti bambini.
Un fatto negato dal governo siriano e da quello di Mosca il quale esercita in Siria un ruolo decisivo per il sostegno al regime di Bashar al Assad. Secondo i due alleati, in realtà, si sarebbe trattato dell’esplosione di un arsenale di ordigni chimici in possesso delle fazioni ribelli colpito casualmente nel corso di un bombardamento effettuato sulle postazioni degli oppositori di Assad, appoggiati dagli Stati Uniti e dai paesi sunniti del Golfo.
Ancora nessuno organismo indipendente attivato dalle Nazioni Unite, così come accadde con l’invio degli ispettori nel 2013, in occasione di un uso accertato di armamento chimico vietato, è potuto ancora intervenire e dirci la verità su questa tragica vicenda costata la vita di essere inermi ed innocenti.
Donald Trump ha preferito inviare subito, ed unilateralmente, un ammonimento al governo siriano. Eppure, per lungo tempo, anche la nuova amministrazione americana, ha fatto percepire una sostanziale indifferenza alla presenza di Bashar al Assad ai vertici della Siria di fronte alla priorità di combattere e sconfiggere l’Isis e debellare sul piano militare il pericolo rappresentato dal Califfato islamico.
Alcuni ossarvatori hanno voluto vedere l’intervento americano come un avvertimento da far giungere fino alla Corea del Nord ed alla Cina, ma le dinamiche mediorientali bastano già da sole a far arrivare ad una qualche conclusione.
Il bombardamento missilistico statunitense è stato bollato dalla Russia come un’aggressione contro un paese sovrano riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma Mosca non ha annullato la visita ufficiale del Segretario di Stato statunitense, Rex Tillerson, programmata da tempo.
Le cronache raccontano che Washington ha avvertito in anticipo i russi dell’imminente intervento punitivo e questo potrebbe spiegare i limitati risultati ottenuti con il lancio missilistico.
I governi europei sembra siano stati avvertiti a cose fatte, così come i vertici della Nato. Un portavoce dell’Alleanza Atlantica ha confermato il fatto che il Segretario Generale Jens Stoltenberg sia stato informato dal Segretario alla Difesa americano, James Mattis, ma ha rimandato “ alle autorità degli Stati Uniti” ogni commento sugli attacchi in Siria.
Un clima così freddo tra americani ed alleati occidentali non si è mai registrato prima.
Nel frattempo, il Segretario Usa Tillerson ha ribadito nuovamente il concetto che la priorità degli Stati Uniti è quella della lotta all’Isis ed al terrorismo islamista tornato a colpire duramente i cristiani copti in Egitto nel corso delle cerimonie per la Domenica delle Palme.
Fonti vicine agli apparati di sicurezza israeliana fanno sapere che nel nord della Siria, a Tabqa, gli Stati Uniti stanno allestendo un complesso di basi militari destinate al più presto a sostituire quella utilizzata nel sud della Turchia di Incirlik, da cui si stanno spostando anche le forze messe in campo dalla Germania a seguito delle recenti frizioni con il presidente turco, Reccep Tayyip Erdogan.
Queste nuove basi saranno utilizzate anche dalle forze curde e da quelle dei paesi arabi che negli ultimi mesi hanno combattuto le milizie dell’Isis. Soprattutto i curdi hanno segnato, con le forze irachene, i successi più significativi sul terreno militare contro i terroristi islamisti provocando non poca irritazione da parte del governo di Ankara il quale teme il formarsi di uno stato curdo indipendente a ridosso dei propri confini.
La inedita presenza di basi americane in Siria, sia pure nella decentrata aerea di confine con l’Iraq, apre uno scenario del tutto nuovo cui potrebbe essere collegato anche il bombardamento missilistico statunitense. Può essere vista come la decisa intenzione statunitense di tornare prepotentemente sullo scacchiere mediorientale, con una certa inversione di rotta rispetto agli otto anni di presidenza Obama.
La presenza Usa nell’area siriana di Tabqa potrebbe servire a tenere lontana la Turchia dalle aree curde di Siria ed Iraq, ma anche limitare la libertà di movimento dell’Iran in questi due paesi dove sono alla guida governi sciiti o alleati degli sciiti.
Il futuro risponderà sicuramente a molte delle domande che siamo costretti a farci. Più complessa è la riflessione sul ruolo dell’Europa.
Un’ Europa divisa da interessi divergenti, se non contrapposti, in materia di visione geopolitica, di politica energetica ed approvvigionamento petrolifero, di scambi commerciali e vendita delle armi nel Medioriente, oggi, il più grosso mercato per munizioni ed armamentario prodotti in Occidente.
Le divisioni e la concorrenza tra gli europei sono antiche e risalgono fino al periodo coloniale. In particolare, in materia di sfruttamento petrolifero e appalti dei grandi sistemi infrastrutturali, i singoli governi occidentali sono condizionati dagli appettiti particolari delle compagnie nazionali spesso impegnate in una politica di vera e propria scorribanda incontrollata, favorita anche dalla mancanza di una presenza organica e, possibilmente, regolatrice da parte dell’Unione europea.
L’Italia, inoltre, non ha saputo porre nella maniera adeguata la questione del Mediterraneo al centro dell’agenda europea.
Manca una politica univoca e diretta ad una crescita armonica e convergente di tutto il Vecchio continente necessaria per andare oltre le logiche animate solamente da istanze nazionalistiche e particolaristiche.
Il dilemma che agita i cristiani, e tutte le persone ragionevoli, in materia di difesa e di presenza militare può in parte essere superato se esiste una capacità diplomatica in grado di far parlare altro al posto delle armi.
Una politica estera europea potrebbe trovare una propria originalità rilanciando le questioni della ripresa dei progetti di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, la definizione di piani di interventi a favore dei paesi da cui origina una immigrazione senza regole e di una più decisa regolamentazione del mercato delle armi, oltre che di un impegno per superare gli storici problemi di aree a noi vicine in cui il dissidio religioso ed etnico è stato spesso utilizzato strumentalmente per mantenere divisioni e contrapposizioni, invece che contrastarlo e contenerlo.
La pace, in particolare nel Medioriente, può essere perseguita impegnandosi a superare davvero le disparità di condizioni economiche e sociali oggi esistenti tra i popoli ed aggravate negli ultimi anni anche dalla presenza di opposti interessi lasciati entrare in campo dai paesi occidentali senza un’adeguata valutazione politica sulle conseguenze che ciò avrebbe comportato.