La crisi degli anni ’90 ha portato all’assorbimento delle maggiori banche del Mezzogiorno da parte di quelle del Nord, facendo venire meno i più importanti centri decisionali finanziari locali del Meridione d’Italia. Nel 2011 è nata la Banca del Mezzogiorno fortemente voluta dall’allora ministro Giulio Tremonti, che doveva rappresentare un ritorno in grande stile del fare credito con capitale pubblico a favore del nostro Sud. Così non è stato, e dopo varie vicissitudini, la BdM-MCC è stata integrata in Invitalia, l’agenzia pubblica per l’attrazione degli investimenti, al fine di sostenere lo sviluppo delle piccole e medie imprese del Sud, grazie ad un mix di credito pubblico e privato. Così la questione bancaria diventa un altro dei grossi problemi da affrontare all’interno della più generale “ questione meridionale”.
In una realtà, come quella italiana, in cui la struttura economica è caratterizzata dalla piccola e media impresa, dove sono ancora pochissime le imprese quotate in borsa, le filiali locali delle banche sono spesso le uniche realtà cui gli imprenditori possono rivolgersi per le loro esigenze di finanziamento esterno.
La teoria economica suggerisce che, nei casi in cui l’informazione è molto localizzata e difficilmente trasferibile in termini spaziali, come nel caso delle informazioni economiche relative alle piccole e medie imprese (PMI), le relazioni tra chi prende a prestito ( borrower) e chi lo presta ( lender ) tendono ad avvenire preferibilmente a livello locale a causa degli elevati costi d’informazione.
I cambiamenti avvenuti nella struttura del sistema creditizio italiano negli ultimi venti anni hanno interessato in maniera marcata il Mezzogiorno.
Il processo di consolidamento bancario iniziato nei primi anni Novanta del secolo scorso ha comportato, tra l’altro, una drastica riduzione di banche con sede amministrativa nel Sud e nelle Isole. Al dicembre 2016, 161 banche risultavano avere la sede amministrativa nel Mezzogiorno, su un totale di 604 banche operanti in Italia.
Se consideriamo solo le banche presenti sotto la forma societaria di società per azioni, escludendo perciò tutte le banche cooperative e popolari (di solito di minori dimensioni), addirittura solo 16 banche spa avevano sede nelle regioni meridionali su un totale di 162.
Gli sportelli aperti risultavano essere 6.174 su un totale di 29.027 complessivi in Italia, rispetto ai 6.424 in essere l’anno prima, con una diminuzione di circa il 4%, in linea con la media nazionale (dati Bankitalia 2017 – Bollettino delle Regioni).
Perciò, il dato più rilevante sembra essere costituito, non tanto la diminuzione delle piccole banche locali, ma dalla pressoché totale sparizione di gruppi bancari di grandi o medie dimensioni con sede e radicamento territoriale nel Mezzogiorno, rispetto all’inizio degli anni Novanta.
D’altra parte, la maggiore problematicità della ristrutturazione bancaria nel Sud va ricercata soprattutto nella strutturale inefficienza dello stesso sistema finanziario locale e nel forte impatto che la crisi economica dei primi anni novanta ha avuto sull’economia meridionale. Tali fattori hanno portato il sistema creditizio meridionale sull’orlo della bancarotta (basti ricordare la crisi dei due principali istituti meridionali, il Banco di Sicilia e il Banco di Napoli).
L’impennata dei crediti in sofferenza nelle regioni del Sud registrata a metà degli anni novanta rappresentò una chiara manifestazione di questa crisi: nel 1996 il rapporto sofferenze/impieghi raggiunse nel Mezzogiorno il picco del 23,5% contro il 7% del Centro-Nord.
Il problema è che l’assenza di banche locali di medie/grandi dimensioni in un determinato territorio può avere un impatto sullo sviluppo economico locale. Una banca locale di riferimento di grandi dimensioni può essere molto importante, non solo per il finanziamento alle imprese, ma anche per finanziare progetti e iniziative di rilevanza pubblica per le comunità locali (es. project financing di infrastrutture). D’altra parte, il sistema finanziario di un determinato Paese o regione rispecchia il grado di sviluppo economico complessivo di quell’area.
La perdita dei centri decisionali finanziari nel Mezzogiorno ha segnato, di fatto, un arretramento competitivo del Sud non solo rispetto alle regioni del Nord, ma, considerando la dimensione europea, anche verso quelli che possiamo ritenere i veri competitor del nostro Mezzogiorno, ossia le regioni/nazioni dell’Europa centro-orientale.
Per supplire a questo deficit di centri decisionali finanziari, il Governo Berlusconi alla fine del 2005 inserì nella legge finanziaria per l’anno 2006 l’istituzione della Banca del Mezzogiorno.
Non la poté chiamare banca del Sud poiché dal 2004 era nato un Comitato Promotore di iniziativa privata per la costituzione della Banca del Sud, poi aperta a Napoli nel 2006.
La Banca del Mezzogiorno era stata fortemente voluta dal Ministro Tremonti, e l’idea era stata già esposta su un articolo pubblicato dal Corriere della Sera nel settembre 2004.
La nascita della banca del Mezzogiorno, nata per promuovere dall’ “interno” l’economia meridionale, “orfana” degli interventi della Cassa del Mezzogiorno, ebbe come conseguenza anche quella di far rinascere la Banca pubblica, una forma organizzativa che il T.U. bancario del 1993, che aveva trasformato le banche a partecipazione statale in Spa, ivi comprese le Casse di Risparmio, sembrava aver sepolto per sempre.
Certo, al di là dei proclami del momento, nessuno si illudeva, a partire dallo stesso Tremonti, che la creazione di una banca statale finalizzata al finanziamento dell’economia del Mezzogiorno potesse da sola risollevare le sorti del nostro Sud, i cui problemi sono collegati strettamente ai ritardi storici nell’evoluzione economica e culturale, alla mancanza di infrastrutture, soprattutto alla mancanza di legalità, in gran parte dovuta alle organizzazioni mafiose in grado di controllare la maggior parte del territorio.
In presenza, infatti, di una sorta di ordinamento giuridico parallelo a quello legale, così come viene considerato quello delle organizzazioni mafiose, e di una fitta trama di rapporti informali e familiari, è chiaro come anche l’erogazione del credito risente del contesto in cui questa attività si svolge.
Il tentativo fatto con la creazione della Banca del Mezzogiorno è stato quello di riportare la gestione del finanziamento alle imprese meridionali all’interno dei territori beneficiari, pur nella consapevolezza dei fattori critici che ne condizionano la formazione.
Per la Banca del Mezzogiorno, priva di sportelli autonomi, e quindi organizzata come banca di 2° livello, dopo due anni di stallo, nel 2008 fu scelto come partner industriale Poste Italiane, a cui ne fu affidata la gestione.
Nell’azionariato dell’Istituto sarebbero dovute entrare le Banche Popolari e quelle di Credito Cooperativo di tutto il Meridione, mettendo così a disposizione di Banca del Mezzogiorno una rete di oltre 7.500 sportelli, tramite la quale il nascente istituto avrebbe potuto alimentare il credito alle aziende locali con i fondi strutturali europei veicolati attraverso il Ministero dell’Industria.
La creazione della “Banca del Mezzogiorno” già delineata nella XIV legislatura, con la legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266/2005), all’articolo 1, commi da 376 a 378, dopo due anni di discussioni, fu nuovamente disciplinata, nella XVI legislatura, dall’articolo 6-ter del D.L. n. 112 del 2008.
Tuttavia, solo con la legge finanziaria per il 2010 (legge n. 191 del 2009), all’articolo 2, commi da 161 a 177, fu definito concretamente l’insieme di disposizioni dirette ad aumentare la capacità di offerta del sistema bancario e finanziario delle regioni del Mezzogiorno e a sostenere le iniziative imprenditoriali canalizzando il risparmio privato in quelle regioni.
A tal fine, era prevista un’articolata disciplina volta (finalmente) alla costituzione della Banca del Mezzogiorno Spa, quale società partecipata dallo Stato, tramite le Poste Italiane in qualità di socio fondatore, e da altri soggetti privati invitati a parteciparvi da parte di un Comitato promotore all’uopo istituito.
La Banca avrebbe agito attraverso la rete di banche e di istituzioni aderenti con l’acquisto di azioni, e sua finalità precipua sarebbe stata quella di sostenere progetti di investimento nel Mezzogiorno, promuovendo in particolare il credito alle PMI anche con il supporto di intermediari finanziari.
Al Ministero dell’economia veniva data la facoltà di autorizzare enti e società, partecipate dal medesimo Ministero, a contribuire, in qualità di soci finanziatori, alla sottoscrizione del capitale delle Banche di Credito Cooperativo che avrebbero partecipato al capitale della Banca del Mezzogiorno.
Nell’estate del 2010 fu nominato il Comitato Promotore, così come stabilito dalla normativa vigente. A fianco di esso era previsto il Tavolo di Consultazione, nel quale sedevano i rappresentanti delle Associazioni di Categoria più rappresentative dell’imprenditoria privata.
Il Comitato, in effetti, provvide a predisporre le cosiddette linee guida previste dalla legge finanziaria 2010 con le quali venivano esplicitati i compiti e le funzioni del nuovo istituto.
Già alla fine dell’estate di quel 2010, il Comitato aveva prodotto un piano di impresa, con l’ausilio dell’advisor. Poi accadde che, in quello stesso periodo, Unicredit mettesse sul mercato Mediocredito Centrale.
L’orientamento del Mef a quel punto fu quello di accelerare i tempi, invece di attendere l’ottenimento della licenza bancaria necessaria per l’inizio dell’attività, e il Ministero decise di comprare il Mediocredito Centrale tramite Poste Italiane destinare a diventare anche azionista al 100% della nascente banca del Mezzogiorno.
Le Bcc e le Popolari non entrarono, però, mai nell’azionariato di Banca del Mezzogiorno per la scarsa esperienza bancaria di Poste Italiane e, perciò, furono irremovibili nel chiedere il controllo di almeno il 60% della futura “Banca del Sud”.
Quegli stessi istituti di credito, furono inoltre indotti a tirarsi indietro anche dall’operazione di acquisto del Mediocredito Centrale, banca già interamente privatizzata nel 1999 con la vendita a Banca di Roma, e resa di nuovo pubblica e rinominata in “Banca del Mezzogiorno – Medio Credito Centrale”, con il risultato di legare l’accesso al credito degli imprenditori del Sud sempre al Fondo di garanzia per le PMI, gestito storicamente dallo stesso Medio Credito.
La Banca d’Italia rilasciò nel maggio del 2010 a Poste Italiane l’autorizzazione all’acquisto del Medio Credito Centrale (MCC), individuato come nucleo portante per dare attuazione alla realizzazione della Banca del Mezzogiorno.
L’acquisizione di MCC fu perfezionata il 1° agosto 2011 e la Banca assunse la denominazione di Banca del Mezzogiorno – Medio Credito Centrale (BdM-MCC).

Banca del Mezzogiorno – Medio Credito Centrale
La Banca del Mezzogiorno avrebbe dovuto operare, in particolare, a supporto della piccola e media impresa del Sud con diversi strumenti creditizi: il credito industriale, il credito agevolato e la gestione di fondi di garanzia regionali, nazionali ed europei.
La Banca del Mezzogiorno era ricompresa tra le 5 priorità strategiche di carattere orizzontale del Piano nazionale per il Sud (che prevedeva anche 3 priorità strategiche di sviluppo) definito dal Governo nel novembre 2010.
Con il D.L. n. 70 del 2011, all’articolo 8, comma 4, oltre a sopprimere alcune disposizioni relative alla Banca del Mezzogiorno, relative al limite massimo per sottoscrittore e al limite temporale minimo per la detenzione in portafoglio, si autorizzò l’emissione da parte di BdM– fino ad un massimo di 3 miliardi di euro – di specifici Titoli di Risparmio per l’Economia Meridionale (i cosiddetti bond-Sud) fiscalmente agevolati (imposta sostitutiva sugli interessi al 5%).
I titoli dovevano avere scadenza non inferiore ai 18 mesi e l’aliquota agevolata si applicava purché fossero detenuti in portafoglio per almeno 12 mesi.
Alla disposizione venne data attuazione con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 1° dicembre 2011.
Alla fine del 2012 l’intera operazione era costata circa 350 milioni di euro, di cui 136 milioni per l’acquisto di MCC e circa 214 milioni di euro per dare corpo e cassa ad una struttura da 210 dipendenti. Nonostante tutti i soldi messi sul piatto dallo Stato, il nuovo Istituto di Credito si ritrovò nella stessa sede del Mediocredito a Roma (via Piemonte 51) e senza né uffici né filiali proprie nel territorio dove era chiamata ad operare.
Per chiedere prestiti, le imprese del Sud dovevano prima cercare il logo (Sole, mare e tricolore) negli uffici postali e poi mettersi in fila accanto a clienti in attesa di pagare bollettini e ritirare raccomandate.
L’operatività creditizia era infatti organizzata all’interno di appena 50 sportelli di Poste Italiane (per lo più Poste Impresa), presenti in Campania (18), Puglia (13), Sicilia (10), Sardegna (3), Abruzzo (3), Molise (1), Basilicata (1) e Calabria (1). Gli sportelli dedicati divennero poi 250 in tutto il Sud Italia alla fine del 2014.
Della Banca sognata dal ministro Tremonti alla fine, dunque, non era rimasto quasi nulla.
Di soci privati nemmeno l’ombra (anche se a capo del Comitato c’era proprio Augusto dell’Erba, presidente della Federazione Puglia e Basilicata delle Bcc) e le linee di credito attivate non prevedevano un solo euro a start up né agevolazioni a iniziative imprenditoriali con particolar riferimento a età o genere, quindi niente agevolazioni agli under 35 né alle donne, con buona pace dei proclami che avevano accompagnato il progetto legislativo della Banca del Mezzogiorno.
La montagna aveva partorito il classico “topolino”.
Il nuovo istituto era, quindi, diventato in realtà un soggetto ibrido. Non una banca di 2° livello priva di sportelli, ma in grado di agire attraverso altri intermediari finanziari, vista la “ fuga” di quanti si erano “sfilati” sin dll’inizio del progetto; neppure una banca vera e propria, in quanto dotata solo di 250 “sportelli” all’interno delle agenzie di Banco Posta, senza considerare una collaborazione non sempre facile fra le due realtà, mai integrate tra di loro.
Per questo già alla fine del 2014 l’amministratore delegato di Poste Italiane parlò di una possibile cessione di BdM-Mcc, poi, concretizzata nel febbraio 2017 con la vendita a Invitalia, l’Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia.
L’obiettivo di Invitalia è quello di promuovere l’innovazione del sistema industriale e gli investimenti esteri in Italia, in particolare nel Sud, attraverso la valorizzazione e il rilancio delle potenzialità dei territori. Dal 2014 si occupa anche di edilizia e di rilanciare le aree industriali in crisi, talvolta tramite la rilevazione o l’acquisizione delle imprese in difficoltà. Queste nuove attività gli sono valse il soprannome di nuova IRI.
La vendita della BdM-Mcc è stata finalmente perfezionata, ad un prezzo di 390 milioni di euro, nell’agosto del 2017, dopo le necessarie autorizzazioni giunte da Bce, Bankialia e Antitrust.
L’ad di Invitalia, Domenico Arcuri, ha dichiarato : “ La Banca del Mezzogiorno sarà una banca di secondo livello, come era in origine e come, purtroppo, non è stata negli anni scorsi: opererà solo per il tramite di reti di banche di credito ordinario. Su questo saremo fermissimi. L’integrazione del Fondo Centrale di garanzia (che è gestito da BdM-Mcc) con il nostro sistema di incentivi è molto importante e moltiplicherà i nostri risultati”, ha proseguito Arcuri che ha, poi, ricordato: “Nel 2016 solo il 22% delle piccole imprese del Sud che hanno chiesto finanziamenti li ha ottenuti, e solo il 4,8% per intero. Il costo del denaro al Sud è di almeno 1 o 2 punti più caro rispetto alla media nazionale, talvolta a ragione”.
I prossimi anni ci diranno se BdM-Mcc, all’interno di questa nuova realtà di Invitalia, sarà realmente in grado di contribuire alla necessaria spinta propulsiva di cui ha bisogno l’economia del Mezzogiorno per abbattere l’endemica disoccupazione a due cifre e risollevare le sorti delle zone più depresse.
Insomma, la storica ed irrisolta “ questione meridionale” si arricchisce di un nuovo capitolo rendendo ancora più urgente la necessità di un piano globale di sviluppo per il nostro Mezzogiorno.
Fabrizio Manzione