Non appena ho letto l’articolo di Civiltà cattolica, a firma del padre gesuita Antonio Spadaro e di Marcelo Figueroa , pastore presbiteriano argentino, dal titolo “ Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendete ecumenismo”, ( CLICCA QUA ) ho subito pensato che l’integralismo rischia sempre di costituire la malattia infantile di molti cristiani, soprattutto per quelli decisi ad impegnarsi in politica.
Tutti sappiamo delle amare lacrime versate da Alcide De Gasperi a causa delle incomprensioni del Vaticano verso la sua azione politica, in taluni casi espresse anche con durezza, e da parte della neo convertita, cattolicissima Clare Boothe Luce, ambasciatrice americana in Italia a metà degli anni ’50.
A De Gasperi veniva soprattutto rimproverato il fatto di farsi carico di una straordinaria, realistica consapevolezza dei problemi dell’Italia di allora e rifiutare di affrontarli seguendo una deriva integralista e di parte.
Tutti ricordiamo la mancata difesa da parte della Chiesa romana di don Luigi Sturzo, Giuseppe Donati e Luigi Ferrari, costretti all’emigrazione dall’Uomo della Provvidenza del secolo scorso.
Per questo non mi è stato difficile capire ciò cui fanno riferimento Padre Spadaro e il pastore Figueroa.
Lo fanno, in un diverso contesto storico e politico, vedendo i rischi legati al ruolo crescente dell’ estremismo cristiano statunitense cui, loro sottolineano, rivolgono una certa attenzione anche taluni cattolici “ integralisti” accumunati dalla “ medesima volontà di un’influenza religiosa diretta sulla dimensione politica”.
Non deve però sfuggire che non tutti i cristiani, americani e non, intenzionati a coinvolgersi nell’impegno politico, sono animati da uno spirito fondamentalista. Anzi!
Così, a mio avviso, è necessario un chiarimento da parte di Padre Spadaro, anche per evitare il sorgere di una certa confusione tra quei cristiani sollecitati sin dall’adolescenza all’impegno politico secondo gli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa e spinti a contribuire alla concreta attuazione di quella riflessione del Beato Paolo VI, secondo il quale la politica costituisce la più alta forma di carità sociale; oppure, per dirla alla de Toqueville, educati ad operare per applicare la carità cristiana alla politica.
I chiarimenti sono davvero necessari perché gli autori dell’articolo di Civiltà Cattolica partono dalla specifica esperienza nord americana per giungere a conclusioni che sembrano dover valere anche per altre realtà, in particolare per l’Europa, caratterizzate negli ultimi 150 anni dalla presenza, con un ruolo rilevante e decisivo, dei partiti d’ispirazione cristiana.
E’ superfluo ricordare che, grazie a questa presenza attiva, l’Europa ha conosciuto un periodo di pace dalla durata insolitamente lunga per il Vecchio continente. Oltre che una impetuosa crescita economica, sociale e culturale, sulle cui basi sono state garantite inedite forme di partecipazione democratica e l’archiviazione delle più odiose forme di tirannia statalistica rappresentate dal nazifascismo e dal comunismo “ reale “ dell’allora Unione Sovietica.
Anche grazie ai partiti costituiti sulla base dell’ispirazione cristiana è stato possibile portare, senza traumi, a conclusione quel processo evolutivo di società moderne, pluraliste, partecipate e consapevoli, avviato con la Rivoluzione francese e proseguito con le successive lotte “ risorgimentali” e di affrancamento di numerosi popoli europei.
Semmai, i passi indietro sono stati registrati negli ultimi due decenni in Europa, proprio quando il Partito Popolare Europeo ha attenuato, o addirittura ignorato, i richiami alla Dottrina sociale della Chiesa e le sollecitazioni verso la solidarietà, la sussidiarietà, il rispetto e la valorizzazione della persona , delle organizzazioni sociali intermedie e delle autonomie amministrative. Tutto quanto, insomma, costituisce gran parte del fondamento di un moderno equilibrio sociale in cui il cittadino possa trovare il senso autentico di un coinvolgimento e della partecipazione ad un percorso comune.
C’è da chiedersi quanto lo scivolamento del Ppe su posizioni sempre più sfrenatamente liberistiche, oggettivamente distanti dai ceti medi e da quelli più disagiati, verso una politica ottusamente deflattiva, e la conseguente indifferenza verso i problemi dei gruppi più deboli, delle famiglie, dei giovani, oltre che degli anziani, non abbiano contribuito all’aggravarsi di una crisi che sta spingendo verso la disgregazione sociale ed allargando il divario tra i ricchi e gli tutti gli altri.
Mi chiedo spesso su quali basi molti leader nei diversi paesi europei e di Bruxelles riescono ancora a dirsi “ popolari”?
Ciò non mi fa dimenticare che molto di quanto è stato realizzato negli ultimi sessant’anni è stato il frutto di una complessa e tortuosa assunzione di responsabilità da parte di uomini e donne che, ispirati agli insegnamenti sociali della Chiesa, hanno trovato in tutta l’evoluzione del pensiero politico del movimento democratico dei cristiani, a partire dal Zentrum in Germania, dalle elaborazioni di Rosmini, di Sturzo, Maritain, Schuman, Adenauer e De Gasperi, le indicazioni per garantire a fasce sempre più ampie della società civile la difesa e salvaguardia della famiglia e delle istituzioni, oltre che del diritto alla libertà, al lavoro, alla libera imprenditoria, alla scuola aperta a tutti, alla sanità garantita universalmente, ecc, ecc.
Si tratta di quei pilastri ideali, morali e progettuali su cui si è basata la clamorosa novità rappresentata dai partiti espressione del pensiero democratico cristiano europeo del ‘900.
Quei pilastri sostenevano, anche, la ragionevole capacità di avviare un dialogo ed una collaborazione con forze politiche espressioni di differenti visioni culturali ed antropologiche.
Dialogo e collaborazione non significavano affatto perdita della propria identità. L’esempio dell’introduzione dell’articolo 7 della Costituzione spiega già tutto da solo.
Siamo di fronte ad una reale capacità di elaborazione politica e di pensiero autonoma. Propria di laici consapevoli ; in grado di distinguere ciò che riguarda la sfera religiosa e le indicazioni della Gerarchia e quanto, invece, non può che costituire esclusiva peculiarità del confronto politico, cui si partecipa perché cittadini animati da uno spirito di servizio indirizzato verso il bene comune.
Ciò significava, e significa, guardarsi dalla malattia dell’integralismo e da quella, altrettanto pericolosa, di smarrire il riferimento ai propri principi e finire per non porli più al servizio dell’intera comunità, vuoi per ignavia, vuoi per paura, o per conformismo o per opportunismo. Accanto al peccato dell’integralismo, forte è il rischio d’incorrere nel peccato dell’omissione…
I temi su cui, notano i due autori della Civiltà Cattolica, avviene la criticata alleanza di estremismi cristiani negli Stati Uniti sono quelli dell’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’educazione religiosa nelle scuole e “ le questioni considerate genericamente morali o legate ai valori”.
Siamo, scrivono il gesuita ed il pastore protestante, di fronte alla convergenza su di un “ ecumenismo dell’odio” basato su visioni xenofobe e islamofobe che cozza con quell’ecumenismo incoraggiato da Papa Francesco che si muove sulla linea “ dell’inclusione, della pace, dell’incontro e dei ponti”.
Anch’io condivido la preoccupazione che negli Stati Uniti l’elemento religioso finisca per essere confuso con quello politico. Non credo, al tempo stesso, però, che questo stia avvenendo in Europa e, per quanto ci riguarda, in Italia. Forse, grazie ad una storia politica del tutto differente, propria del movimento democratico cristiano europeo.
Padre Spadaro e il pastore Figueroa , giungono, a un certo punto, ad una conclusione che rischia di creare la confusione cui mi riferivo all’avvio di questa modesta mia riflessione.
Essi scrivono, infatti: “ Francesco rifiuta radicalmente l’idea dell’attuazione del Regno di Dio sulla terra, che era stata alla base del Sacro Romano Impero e di tutte le forme politiche ed istituzionali similari, fino alla dimensione del ‘ partito’. Se fosse inteso così, infatti, il ‘ popolo eletto’ entrerebbe in un complicato intreccio di dimensioni religiose e politiche che gli farebbe perdere la consapevolezza del suo essere a servizio del mondo e lo contrapporrebbe a chi è lontano, a chi non gli appartiene, cioè al suo ‘ nemico’”.
Considero subito di getto che, comunque, i cristiani, impegnati o meno in politica, non possono restare indifferenti di fronte a temi come l’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’educazione religiosa nelle scuole e “ le questioni considerate genericamente morali o legate ai valori”, anche se su questo punto vorrei tornare successivamente, dopo aver esaminato più nel dettaglio il punto cruciale in cui i due autori escludono che i cattolici possano pensare anche a quella che viene definita “ dimensione del ‘ partito’”.
Sulla questione, se non viene un adeguato chiarimento, rischiamo, infatti, di tornare davvero 150 anni all’indietro, e cioè agli inizi del dibattito iniziato nella metà dell’800 su quello che i cittadini cattolici avrebbero dovuto fare in quanto laici inseriti in un preciso contesto storico e in un dato tessuto sociale.
Una dura battaglia che i laici in Europa hanno condotto anche contro l’ingerenza della gerarchia romana e dei vescovi locali, quando si arrogavano il diritto di fornire indicazioni tassative all’interno di quella sfera propria dell’autonoma iniziativa politica ed istituzionale dei cittadini d’ispirazione cristiana.
Viene da chiedersi se, portando alle estreme conseguenze il ragionamento di padre Spadaro e del pastore Figueroa, non rischiamo di ritrovarci persino al giorno precedente la promulgazione della Rerum Novarum. Quando, nel 1891, per la prima volta, si fà concreto l’invito rivolto ai cattolici, divenuto via via più pressante da parte dei papi succedutisi a Leone XIII, ad impegnarsi attivamente nella vita sociale e politica.
Immediatamente dopo quella enciclica, in Italia, arriveranno l’elaborazione di Tonolio, l’organizzazione dell’Opera dei Congressi, la prima esperienza della Democrazia Cristiana di Romolo Murri e, finalmente, il Partito Popolare di don Sturzo.
Davvero padre Spadaro pensa che possa essere azzerata la storia del movimento democratico dei cristiani e tornare così tanto indietro per un rischio integralista contro cui non sono mancate dure battaglie da parte dei democratici cristiani e dei popolari? Oppure, il padre gesuita vuole dire che stia solo alla gerarchia intervenire su questioni che, assieme, riguardano valori e principi e quell’ordine sociale su cui si basa la vita dei cittadini?
Quando Papa Francesco ripete il concetto che ci si deve dedicare alla politica con la “ P “ maiuscola non credo che il Pontefice intenda dire questo. Neppure credo si intenda escludere che dei laici cristiani possano ritrovarsi insieme, come capita a tutti coloro che leggono allo stesso modo le cose del mondo, per rispondere alle necessità delle famiglie, dei colleghi di lavoro e tutti coloro che stanno loro intorno, secondo l’ispirazione evangelica, non quella “ evangelicale” che Padre Spadaro giustamente critica.
Non credo proprio che il ‘ partito’ e cioè l’ impegno organizzato autonomamente in politica di cristiani significhi una scelta di per sé integralista e fondamentalista.
Questa, per quanto ci riguarda, non è la scelta da noi fatta quando abbiamo dato vita all’esperienza di Convergenza Cristiana proprio per favorire la rinascita di un soggetto politico nuovo dei cristiani impegnati in politica i quali, dopo aver fatto davvero i conti con il passato, senza alcun spirito fondamentalista, guardino al futuro pensando esclusivamente al bene comune.
Il rischio è che il ragionamento di Padre Spadaro possa, invece, portare ad una estrema, pericolosa conseguenza: i cattolici, ma allora non solo essi, anche i credenti di altre fedi religiose, dovrebbero rinunciare a contribuire al formarsi dei più importanti provvedimenti legislativi capaci di influire in profondità sul tessuto sociale, a meno che non lo facciano in una dimensione privata ed individualistica.
Come comunità collettiva di laici, dovrebbero chiamarsi fuori dal dibattito sulla più utile applicazioni delle nuove scoperte scientifiche e mediche, sull’evoluzione del pensiero giuridico ed il suo concreto dispiegarsi nelle leggi, sul modo più efficace ed opportuno per rispondere a fenomeni come l’immigrazione, il terrorismo, e i conflitti in atto alle porte di casa nostra, l’automatizzazione delle fabbriche. ecc.? E’ davvero questo la conclusione cui vogliamo giungere, o c’è della chiarezza da fare?
Dove sta scritto, poi, che chi non la pensa nel mio stesso modo sia vissuto da me come un ‘ nemico’ e dare per scontato, invece, che tra di noi non possa svilupparsi un libero, fecondo, coerente confronto politico indirizzato verso il raggiungimento di obiettivi comuni.
Chi può dire che dal leale coinvolgimento politico da parte di tutte le sue componenti non possa venire un arricchimento per l’intera società?
E’ chiaro che nel confronto democratico chi più ha filo più ha da tessere e che un autentico cristiano non può mai restare inoperoso di fronte al proprio telaio.
Padre Spadaro ricorda la dicitura “ In God we trust”, voluta sul dollaro dai massoni fondatori degli Stati Uniti d’America, anche perché essi non sottovalutavano il profondo sentimento religioso alla base delle tante comunità organizzate giunte da coloni al di là dell’Atlantico.
Potremmo ricordare il ben più terribile “ Gott mit uns “ delle SS hitleriane e giungere allora alla conclusione che, da Rosmini in poi, il pensiero democratico cristiano e popolare sia stato tutto sbagliato, solo perché perverse visioni ideologiche hanno inquinato il nobile rapporto, sempre possibile, tra l’ispirazione religiosa e l’impegno in politica di un cristiano?
I problemi, semmai, diventano quelli della “ qualità” dell’azione politica e del modo in cui dei cristiani organizzati politicamente mostrano, soprattutto nei fatti, la capacità di sostenere le proprie idee e difendere i propri convincimenti, senza che questo significhi combattere delle “ guerre di religione”.
Perché i cristiani non dovrebbero ricordare, assieme a tanti altri, anche non cristiani, che i nostri Padri costituenti, scrivendo gli articoli 29, 30 e 31 della Carta Costituzionale, pensavano alla famiglia fondata tra un uomo e una donna e che i figli dovevano essere educati in un preciso contesto basato sull’ordine naturale, non solo sull’ordine naturale cristiano.
Non credo che ricordare questo, e molto altro, costituisca una discriminazione o rappresenti una posizione fondamentalista, visto che tutta la Costituzione è stata votata da uomini provenienti dalle più disparate posizioni.
Del resto, e su questo anche la Chiesa è stata sicuramente attardata nei decenni passati, una vera attuazione della Costituzione ed il Codice civile possono aiutare a garantire tanti diritti specifici all’interno di una più complessa ed articolata difesa ed adeguata soddisfazione di diritti più generali , anch’essi, oggi, altrettanto pressanti.
Esprimere, tanto per non lasciare le cose in un campo astratto, l’insoddisfazione per l’introduzione della cosiddetta legge Cirinnà non significa schierarsi contro dei ‘ nemici’, bensì ricordare che i problemi della famiglia, di cui nessuno si occupa davvero nel concreto, non si risolvono d’incanto con il lasciar “ sposare” due persone dello stesso sesso.
Ricordo, come dato statistico, e solo per inciso, e senza alcun spirito polemico, che dopo aver fatto cadere almeno un paio di governi per i “ Dico”, nel pieno di una terribile crisi economica internazionale, e dopo anni di animate discussioni parlamentari e giornalistiche, abbiamo scoperto che, grazie alla legge Cirinnà, hanno contratto matrimonio 2.600 coppie di omosessuali, 5.200 persone, a fronte di 60 milioni di italiani.
Intanto, però, non si è posto mano ai problemi drammatici che riguardano circa 25 milioni di famiglie, il numero dei cui componenti è mediamente di 2,4, cioè quasi l’intera popolazione italiana.
Parliamo giustamente di diritti che riguardano tutti i gruppi presenti nella nostra società, per quanto ridotti essi siano, ma intanto non investiamo energie e risorse per risolvere i problemi di milioni di pensionati sulla soglia della povertà, o persino sotto quella soglia; oppure, per dedicare un minimo di vera attenzione ai problemi di milioni di giovani disoccupati, talmente affranti da non avere più la forza neppure di cercare lavoro.
Ecco perché si tratta di fuggire dalla malattia infantile dell’integralismo, ma anche dall’errore opposto di rinunciare alle proprie idee ed alle proprie prospettive che hanno dignità di rappresentanza, al pari di tutte le altre istanze che agitano i nostri tempi.
Personalmente ritengo che, oggi, l’Italia abbia assolutamente la necessità di un nuovo soggetto politico ispirato con forza e coerenza ai valori del Cristianesimo. Lo ha dimostrato, e lo sta dimostrando, l’esperienza degli ultimi 25 anni. Da quando cioè, anche per opportunismo e quieto vivere, si è messa la sordina ai principi ispiratori di quella “ convergenza” sociale e civile che è stata capace di portare l’Italia a livelli inimmaginabili solo alcuni decenni prima. Una “ convergenza” per la quale hanno svolto un ruolo fondamentale anche gli uomini ispirati dalla Dottrina sociale della Chiesa.
Una società è matura quando tutte le sue componenti partecipano alla naturale dialettica politica, anche sui temi scottanti e controversi, e nessuna di queste componenti si sottrae, si nasconde o “ delega” la propria rappresentanza. Questo non sarebbe il modo migliore per preoccuparsi del “ bene comune”.
Sono convinto che Padre Spadaro sarà in grado di offrire i chiarimenti necessari per evitare ogni confusione.
Giancarlo Infante