Da un po’ di tempo è in atto un dibattito sulla permanenza nell’area euro in quanto si argomenta che l’appartenenza a tale sistema monetario avrebbe comportato danni ai cittadini di tanti Paesi europei tra cui l’Italia in luogo dei tanto gridati vantaggi.

Alternative vengono prospettate: alcuni paventano il ritorno alla lira per poter ritornare a gestire la funzione monetaria a livello nazionale, altri discutono della adozione di monete complementari in nome di una libertà di tipo economico e di un ritorno ad una moneta vista come strumento piuttosto che come fine.

Prendo lo spunto da questo tipo di argomentazioni per soffermarmi su alcuni aspetti riguardanti l’importanza di appartenere ad un sistema quale quello dell’Eurosistema e anche sui limiti e sulle necessità di poter modificare alcuni vincoli stringenti che tale appartenenza comporta. In secondo luogo vorrei tratteggiare alcuni aspetti positivi connessi con l’utilizzo di una moneta complementare ma evidenziando anche l’esigenza di fissare alcuni vincoli e regole.

Al di là degli aspetti molto tecnici relativi al perché di una moneta unica, vorrei sottolineare alcuni vantaggi connessi con l’introduzione di una moneta unica adottata da una pluralità di Stati di dimensione e importanza economica rilevante quali i Paesi che hanno aderito alla prima fase dell’euro.

La costituzione dell’euro ha costituito un’opportunità eccezionale per la semplificazione degli scambi tra i Paesi appartenenti all’Eurosistema contribuendo allo sviluppo di un mercato unico europeo . Ciò ha anche contribuito a superare barriere oltre che monetarie anche culturali.   Non va altresì dimenticato che la costituzione di una moneta forte ha contribuito a rafforzare i Paesi aderenti di fronte alle tempeste valutarie scatenate talvolta in modo volontario da controparti finanziarie operanti su scala mondiale in grado di mettere in ginocchio economie di dimensioni importanti quali ad esempio quella italiana (pensiamo alle drammatiche svalutazioni sperimentate negli anni ’90). La maggiore resistenza si è anche sperimentata dopo l’avvio degli acquisti di titoli di Stato da parte della BCE che ha “smontato” la speculazione su alcuni Paesi come l’Itali a e la Spagna.

Ciò che è sotto gli occhi di tutti è anche l’imposizione di parametri e vincoli economici e di bilancio stringenti che hanno indotto alla recessione o la hanno acuito in alcune aree economicamente più deboli dell’area Euro. L’esigenza di fissare regole precise e stringenti per tenere insieme economie  e Paesi  molto diversi fra loro talvolta , e in particolare negli ultimi anni di crisi, si è scontrata con l’insorgere di una fase depressa dal punto di vista economico che necessita di strumenti che rilancino le sorti del Paese.  Sono invece state poste in essere o sono state richieste misure che hanno funzionato in maniera pro-ciclica aggravando le condizioni economiche dei Paesi più deboli  e innescando conflitti sociali crescenti.

La moneta quindi da strumento per migliorare le relazioni economiche è diventata fine delle politiche poste in essere. La gente comune in modo epidermico ha percepito ciò e in più occasioni e in vari Paesi si à fatta sentire con proteste vibranti spesso anche sollecitate da forze politiche di natura populista e demagogica per meri motivi di opportunità.

La risposta a ciò può essere ritrovata nel ritorno ad un controllo di tipo politico sull’Eurosistema cercando di affermare l’esigenza di contemperare vincoli tecnici con esigenze di natura politica e sociale degli Stati più deboli allentando i vincoli di bilancio per capitoli di spesa definiti, ad esempio per gli investimenti e per un livello di welfare accettabile, mantenendo nel contempo un rigore maggiore sulle altre spese.

Sotto il profilo istituzionale, andrebbe quindi sollecitata, come hanno fatto autorevoli economisti e studiosi della materia, una costituzione di una Assemblea parlamentare dei Paesi dell’Euro (costituzione resa possibile dai Trattati fondanti dell’Unione Europea) per governare politicamente il meccanismo tecnico di gestione dell’Eurosistema. L’allentamento, in alcune fasi recessive, del rigore delle regole di presidio dell’Eurosistema potrebbe rilassare il principio “sacro” dell’indipendenza delle banche centrali rispetto ai Governi  ma tutto ciò sarebbe giustificato dal principio ancora più “sacro” della prevalenza del benessere comune rispetto alle regole di natura esclusivamente finanziaria. Si ritornerebbe alla moneta come strumento e non come fine.

Riparto da questo assunto per riprendere il secondo punto relativo all’utilizzo di monete complementari e al possibile effetto benefico sull’economia.

Una moneta per poter avere valore deve avere una fiducia sottostante e,  aggiungerei,  un insieme di regole che qualcuno è deputato a controllare. L’esperienza nel mondo delle “ bit coin” ci dice proprio il contrario. La diffusione senza regolamentazione e controlli potrebbe creare un’anarchia di tipo economico destinata a creare problemi grossi di fiducia quando la speculazione farà “saltare” il banco. Molto probabilmente, allora, dobbiamo ragionare su come la moneta legale debba essere accompagnata dalla creazione di circuiti limitati di moneta complementare,  con regole e “ governance”  chiare.

Nonostante i suoi problemi lo Stato potrebbe essere il primo emittente di moneta complementare in quanto soggetto che può riscuotere fiducia nel prenditore di tale moneta, sicuramente più di una società  collocata in un Paese off-shore che opera solo tramite il web. Penso alle possibilità offerte da un caso specifico di moneta complementare che lo stesso Stato potrebbe emettere a fronte di spese di rilevanza sociale oltre che economica quali gli investimenti. Penso in particolare alla possibilità di utilizzare la proposta di un gruppo di economisti tra cui Stefano Sylos Labini (cfr. http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/18/certificati-credito-fiscale-possibile-moneta-nazionale-complementare-alleuro/1216014/ ) di emettere Certificati di Credito Fiscali per un’emissione di crediti liberamente trasferibili connessi alla realizzazione di investimenti o alle spese del welfare minimo accettabile di cui parlavo prima.

Si tratterebbe di rilasciare ai fornitori dei servizi connessi con investimenti in infrastrutture e welfare di crediti denominati in euro da utilizzare per il pagamento dei debiti verso lo Stato, gli enti previdenziali e le altre imprese loro fornitrici. Questi crediti, liberamente circolabili, potrebbero prevedere anche un meccanismo di incentivazione in relazione al tempo in cui rimarrebbero in circolazione (ad esempio  0,5% rimborsato dopo 12 mesi, 1% dopo 18 mesi e così via) oppure ad altri parametri quali l’incremento del numero di occupati presso l’azienda.

Questo meccanismo potrebbe rendere maggiormente liquidi i crediti verso lo Stato e aumentando la circolazione di detti crediti favorire la liquidità del sistema economico senza passare per il settore bancario. Tale “credito circolante” opportunamente strutturato, codificato e controllato nei suoi movimenti rientrerebbe nelle facoltà di uno Stato senza violazione delle norme comunitarie e dell’Eurosistema.

Non credo allo stato attuale che le esperienze di monete complementari molto diffuse (a livello geografico e settoriale) e slegate dall’economia reale possano costituire un utile strumento per il rilancio dell’economia. Al contrario si possono creare fenomeni di speculazione finanziaria che potrebbero mietere nuove vittime di natura finanziaria. Non sarebbero i singoli a beneficiare di tale innovazione ma chi è strutturato culturalmente, finanziariamente, organizzativamente.

Al contrario ritengo che la moneta complementare gestita con regole e soprattutto legata ad iniziative d economiche reali possa consentire un maggior benessere economico di specifiche aree e rilanciare un meccanismo di tipo solidaristico che non potrebbe che far bene al rafforzamento di un’idea di comunità sociale che man mano sembra sgretolarsi.

Vedo con favore un utilizzo della moneta complementare in aree particolarmente depresse (penso alle aree del cratere dei sismi che si sono succeduti in questi ultimi anni) dove la liquidità scarseggia e il circuito economico non riparte anche perché il sistema bancario, notoriamente molto prudente quando si parla di piccoli operatori economici, al massimo consente uno slittamento delle scadenze dei prestiti in essere.

Il meccanismo di emissione di questa moneta complementare potrebbe partire dal finanziamento di specifiche iniziative (ad esempio ricostruzione di attività produttive distrutte) attraverso la circolazione di crediti, denominati in euro e circolabili in un’area ristretta con un’eventuale garanzia di amministrazioni locali. Gli imprenditori e i lavoratori che parteciperebbero a tale iniziativa potrebbero remunerati con crediti spendibili nell’area presso fornitori di beni e servizi, i quali potrebbero utilizzarli per pagare i loro creditori. Va da sé che il processo per essere governato deve essere circoscritto ad un’area ben delimitata e monitorato da qualche soggetto deputato a ciò (ad es. la stessa amministrazione che fornirebbe la garanzia o associazioni di commercianti e imprese locali). I crediti potrebbero circolare su supporti quali carte di credito ricaricabili solo attraverso tali crediti. Ciò dovrebbe consentire un supporto reciproco nella popolazione dell’area per il rilancio dell’economia locale.

In sintesi, iniziative politiche, a livello internazionale, nazionale e locale, focalizzate più su obiettivi di maggior benessere sociale che sull’esclusivo rispetto di regole finanziarie predefinite nonché un utilizzo della moneta quale strumento e non fine ultimo delle iniziative economiche potrebbero consentire di uscire dalla situazione di depressione economica in cui versano diversi Stati europei  tra cui il nostro, riportando il focus sull’uomo piuttosto che sull’esclusivo benessere economico.

Carlo Di Salvo

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