Il risultato delle elezioni francesi era molto atteso per lo spauracchio Le Pen con tutte le possibili conseguenze di una politica a favore dell’Europa. Un timore molto emotivo rispetto alle critiche diffuse e condivise alla mancanza di capacità dell’Unione Europea di rispondere adeguatamente alla crisi perdurante da oramai 10 anni.
E i numeri usciti fuori dalle urne si prestano ad alcune riflessioni sull’emotività non sempre razionale del voto.
Hanno perso i partiti storici, per la prima volta fuori dal ballottaggio contemporaneamente, è un evidente segnale della crisi del sistema partito anche in Francia. Il tutto a vantaggio di uno che un partito vero non ce l’ha. E noi italiani sappiamo bene cosa può significare nella vita reale post-elezioni.
C’è una sonora bocciatura del governo Hollande, o meglio ci sarebbe, visto che il candidato in testa Macron si dimise dall’incarico di Ministro dell’Economia per candidarsi alle elezioni. Ciò può significare che era Hollande a bloccare l’attuazione delle idee innovative del ministro Macron, oppure in una crisi che è prettamente economica tutta questa novità non c’è. Salvo una folgorazione sulla via di Damasco in fase di campagna elettorale tipo “Ho visto la luce”…
Sommando i voti della Le Pen e quelli di Mélenchon, i due candidati antieuropeisti, si raggiunge circa il 40% dei voti, non abbastanza per votare l’uscita della Francia dall’Euro in un paventato referendum. Si può immaginare quindi che una eventuale vittoria della Le Pen, non per forza avrebbe portato alla Frexit, ma di certo avrebbe dato forza a tutte quelle formazioni politiche che chiedono il cambiamento delle regole di convivenza europea. Cambiamento desiderato da tutti, compresi quelli che attualmente governano l’unione, ma evidentemente mai realmente attuato.
La reazione entusiastica dei mercati finanziari è sintomatica dei maggiori beneficiari di questo risultato: quel mondo finanziario da cui Macron proviene, che in 10 anni di crisi ha beneficiato di supporti, finanziamenti e salvataggi che si sono tramutati in guadagni enormi, a scapito delle casse degli stati sempre più indebitati. Infatti rispetto ad una economia reale in grave difficoltà, i mercati finanziari sono invece sui livelli massimi. L’entusiasmo visto sulle piazze finanziarie è proporzionato al timore precedente alle elezioni che un diverso risultato portasse alla fine o alla riduzione della cuccagna fin qui vista. Gioverebbe spiegare alle masse votanti che questi ultimi anni hanno reso evidente una regola fondamentale che racconto ai miei increduli clienti, i mercati finanziari non sono assolutamente legati all’economia reale, possono avere lauti guadagni anche con un’economia in crisi. Da questo punto di vista il vantaggio attuale di Macron pone la domanda se i suoi elettori siano tutti consapevoli di ciò, altrimenti ci consente di quantificare l’elite benestante di un paese tanto in difficoltà.
La vittoria di Macron al ballottaggio appare al momento quasi certa: tuttavia, considerato quanto l’esperienza di Trump ha insegnato e tenuto conto che il profilo, non solo programmatico, del vincitore delle primarie, tutt’altro che robusto, potrà non essere così apprezzato dall’opinione pubblica dopo due settimane di riflessione, si rileva l’opportunità di rimanere prudenti. Sarà comunque interessante vedere il risultato delle elezioni legislative di giugno, dove la frammentazione dei partiti potrebbe regalare un Parlamento molto frazionato e quindi un Presidente senza maggioranza. Non sarebbe un dramma, ma stiamo vedendo le difficoltà di Donald Trump negli Usa a far approvare le sue” terrificanti” riforme da un Congresso ostile (pur appartenendo allo stesso partito di maggioranza). E venerdì ci sarà l’importante scadenza dello shoutdown, il taglio della spesa pubblica in caso di mancanza di accordo sull’aumento del tetto al debito pubblico federale. Si, perché la più importante economia del mondo si regge su un aumento continuo del debito a tassi di crescita tipo Grecia.
Per carità un aumento del tetto del debito non si nega a nessuno, neanche ad uno come Trump, ma con tutte queste considerazioni non vedo cosa ci sia da festeggiare. Urge in realtà una nuova politica che torni realmente a rispondere alle esigenze della gente reale, che vive e soffre quotidianamente. La vera festa della Liberazione è quella che dobbiamo ancora realizzare.
Gianni Di Noia