“L’illusione non si mangia”, disse la donna. “Non si mangia, ma alimenta”, ribatté il colonnello di ” Nessuno scrive al colonnello” di di Gabriel García Márquez. Se sostituiamo illusione con cultura, sappiamo cosa rispondere a chi sostiene che la cultura non si mangia.

Ma perché siamo arrivati qui? Perché abbiamo commesso l’errore più grave di tutti: considerare libertà e democrazia conquiste irreversibili. Non è così. Nulla è più difficile da conquistare e più facile da perdere di democrazia e libertà. Secondo Arjun Appadurai, tra i più importanti antropologi viventi, assistiamo “al rifiuto su scala mondiale della democrazia liberale e alla sua sostituzione con una qualche forma di autoritarismo populista”. Lui e altri quattordici tra i più grandi intellettuali del Pianeta, hanno cercato di spiegare la crisi del nostro tempo in un saggio dal titolo drammatico: “La grande regressione”. Ci siamo illusi e la Storia ci presenta il conto. Salatissimo.

La cultura dovrebbe nutrire la politica, ma cosa succede se il nutrimento è insufficiente, di pessima qualità o entrambe le cose? Un albero cattivo non può dare buoni frutti. E l’albero della politica è l’uomo. Cattivo lui, cattiva lei. Ma chi coltiva l’albero uomo? Zygmunt Bauman – uno dei vertici della cultura contemporanea – considerava Papa Francesco “l’unica figura pubblica dotata di autorità planetaria”, per il “coraggio e la determinazione di scavare le radici profonde del male, della confusione e dell’impotenza attuali”.

In particolare Bauman apprezzava la posizione del Papa sul dialogo. “Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci – scrive Francesco – è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo, cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale.” Secondo il Papa questo è compito dell’educazione. “Questa cultura del dialogo – scrive – dovrebbe essere inserita in tutti i percorsi scolastici, come asse trasversale delle discipline.” Tesi condivisa da Bauman, per il quale i problemi che abbiamo di fronte richiedono una rivoluzione culturale. Solo attraverso la coltivazione – cioè l’educazione – le persone possono, dunque, tornare ad essere il sale di una politica pericolosamente insipida.

Gianni Fontana

Una politica che accoglie le “paure popolari” come un “minerale prezioso da cui ricavare forniture fresche di capitale politico”. Una politica che ci fa entrare nell’epoca della “sussidiarizzazione” nella quale gli stati non vedono l’ora di scaricare doveri, responsabilità e il compito ingrato di riportare il caos all’ordine, mentre “vecchie località e vecchi comuni serrano i ranghi per assumersi queste responsabilità” in una sorta di “ritorno alle tribù”.

Questa non è la politica, ma la morte della politica. La politica ha bisogno di valori e ideali, e di coscienze che li riconoscano e li rispettino. E, soprattutto, ha bisogno di chi sa (cultura), non di chi ignora, perché, nelle mani sbagliate, lo strumento più perfetto, nella migliore delle ipotesi è inutile, nella peggiore, pericoloso. Esattamente ciò che accadrebbe se mi affidaste uno Stradivari e mi chiedeste di suonare i Capricci di Paganini. La politica è come la musica: per essere grande, ha bisogno di grandi teste e grandi mani. Il resto è rumore. E uccide.

Gianni Fontana

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